Il “supercoach” di Jannik Sinner ha rilasciato un’intervista al Corriera della Sera. Dal periodo di prova ai piani per il futuro: l’ex allenatore di Hewitt e Halep ha le idee chiare
Jannik Sinner continua a crescere, giorno dopo giorno. Dopo i primi mesi di assestamento insieme a Simone Vagnozzi, il giovane azzurro ha inserito nel proprio team una figura di grande esperienza come Darren Cahill. L’ex coach di Hewitt, Agassi e Halep ha parlato al Corriere della Sera, evidenziando le virtù di Sinner e la bontà del lavoro svolto.
“Per me la classifica è irrilevante – spiega l’australiano – l’essenziale è mettere il giocatore nelle condizioni ottimali per lavorare al meglio e che ogni decisione venga presa per un vantaggio. Per quanto riguarda il ranking, se faremo bene, è qualcosa che arriverà. Vagnozzi? Faremo settimane individuali con Jannik e anche tornei insieme, presto annunceremo il calendario. Il periodo di prova durante Wimbledon è stato molto positivo. Conoscevo Jannik come giocatore ma non tanto come persona. Mi ha colpito, è molto umile, spiritoso, educato e pieno di passione per questo sport. Queste sono le doti umane più importanti che ho trovato in lui; poi viene lo sportivo, le cui qualità sono sotto gli occhi di tutti”.
La sconfitta con Novak Djokovic è stata formativa. “Vedo solo aspetti positivi di questa esperienza. Jannik si è reso conto di poter giocare a tu per tu con un ex numero 1 del mondo. Ha capito che una partita contro uno dei migliori è fatta di fasi, e all’interno di queste fasi ce ne sono alcune in cui deve alzare l’intensità del suo tennis, come ha fatto Novak per vincere il terzo set. Alla fine l’ho visto stanco, giocare cinque set su erba è brutale, avrebbe dovuto gestire meglio le energie per non finire in riserva. Imparerà in fretta”.
Al tennista altoatesino la personalità non manca. “Mentalmente mi ricorda Hewitt, ha la stessa scintilla negli occhi, qualcosa che non si vede spesso nel tour. Jannik è una tigre in gabbia che aspetta solo di essere liberata in campo. Lo vedo molto sicuro di sé, ha la convinzione di poter arrivare ai vertici dello sport, una cosa che non si impara, ci si nasce. Ho sentito parlare di lui per la prima volta tre anni fa, quando lavoravo con Ricardo Piatti; dodici mesi dopo era già un top player. Da allora seguo costantemente il suo processo”.