In Spagna si parla di post Nadal da anni, anche se “Rafa” continua a vincere e per ora non ha intenzione di farsi da parte. Ma prima o poi succederà e in ottica futura la situazione sembra confortante, grazie al baby fenomeno Carlos Alcaraz che a nemmeno 18 vede già la top-100, ma anche ad altri ottimi prospetti
C’è vita dopo Nadal
Stefanos Tsitsipas gli ha scippato la corona del Principato, ma Rafael Nadal ha impiegato appena sette giorni a mettere di nuovo le cose in chiaro. Il Re incontrastato della terra battuta rimane lui, e l’ha scolpito sul Centrale di Barcellona regalando ai suoi tifosi l’ennesima soddisfazione di una storia d’amore che pare destinata a non finire mai. Proprio come avviene ai successi del tennis spagnolo, ininterrotti da sessant’anni. Prima fu il turno di Manolo Santana, vincitore di quattro Slam nella prima metà degli Anni ’60; poi di Gimeno e Orantes; quindi di Bruguera, Moya, Costa e Ferrero, protagonisti nel decennio (o poco più) che ha anticipato la venuta del signore di Manacor. La statistica dice che, malgrado con i suoi 47 milioni di abitanti la Spagna sia soltanto la trentesima nazione più popolata al mondo, ha dato alla storia dell’ATP meno numeri uno solamente degli Stati Uniti. In America sono stati sei, in Spagna tre (come Australia e Svezia), e pazienza se Ferrero – otto – e Moya – due – hanno messo insieme appena dieci settimane in tutto. Ci ha pensato Nadal a riscrivere la storia, comandando l’ennesima generazione di altissimo livello.
Mentre il maiorchino ha polverizzato i record della terra battuta collezionando trionfi, la Spagna ha comunque portato fra i primi dieci del mondo anche David Ferrer, Fernando Verdasco, Roberto Bautista Agut e Pablo Carreno Busta, e al momento ha undici giocatori nella top-100. Segno che non tutti nasceranno Nadal, ma dietro a Rafa c’è comunque un movimento ricco di ottimi giocatori. Lui gli ha continuamente tolto la scena a suon di vittorie, ma anche loro hanno contribuito a tenere in alto il tennis della roja, che ora si interroga sul post Nadal. A dire la verità se ne parlava già una decina d’anni fa, quando si pensava che difficilmente il suo tennis logorante gli avrebbe permesso di resistere così a lungo, invece è ancora nel Tour e vince (quasi) come un tempo. Ma prima o poi anche a lui toccherà farsi da parte, e la situazione che si è creata negli ultimi anni sembra più incoraggiante che mai, in particolar modo grazie al 17enne terribile Carlos Alcaraz, uno che si diverte a stuzzicare proprio il ricordo di Nadal.
Alcaraz: con Ferrero per diventare un gigante
Non serve essere fanatici della racchetta per conoscere la nuova grande speranza del tennis spagnolo, 18 anni il prossimo 5 maggio. Perché il suo nome è già stato accostato parecchie volte a quello di Rafa, e anche perché il giovane talento di Murcia sta comparendo sempre più spesso nei tornei maggiori. Per lasciarsi alle spalle i tornei Challenger gli è bastato il 2020: ne ha vinti tre e ha mostrato di meritare già il Tour Atp, come confermato dalle prime uscite dell’anno nuovo. A febbraio ha giocato il suo primo Slam a Melbourne, qualificandosi e poi vincendo una partita nel main draw, mentre qualche settimana fa a Marbella si è regalato la prima semifinale in un 250, ancora minorenne. E pazienza se alla sua età Nadal vantava già una vittoria su Federer e di lì a poco avrebbe conquistato il primo titolo fra i grandi, a Sopot. Per Carlos il periodo dei paragoni è finito e non può che essere un bene, dato che costruire una carriera guardando a quella di Nadal non è affatto un buon modo per avere sott’occhio gli obiettivi corretti.
Visto ciò che il tennista di Manacor ha saputo combinare negli ultimi 15 anni, meglio pensare a se stessi e al proprio percorso, che magari ha priorità e difficoltà diverse. Da questo punto di vista, Alcaraz – oggi numero 120 della classifica ATP – può stare tranquillo visto che da anni al suo angolo siede un mentore di grandissima qualità come Juan Carlos Ferrero: uno che al numero uno del mondo ci è arrivato e sa bene cosa occorre per farsi strada fra avversari, incertezze, aspettative e gli altri mille ingranaggi da far funzionare per diventare dei giganti della racchetta. Prima “Mosquito” ha accolto il giovane nella sua Equelite Sport Academy di Alicante, e poi ha rilevato il progetto Alcaraz in prima persona, quando ha capito di avere di fronte a sé uno che può sul serio almeno provare a ripetere alcuni dei risultati di Nadal. Dire quali e quanti sarebbe difficile persino per Ferrero, perché nel tennis le previsioni sul futuro dei giovani non sono mai una buona idea, e si avverano anche piuttosto raramente. Ma al giorno d’oggi di giocatori che a 18 anni bussano alla porta dei top-100 ce ne sono davvero pochissimi, e questo basta e avanza per scommettere sulle potenzialità di Alcaraz, alternativa spagnola ai nostri Sinner e Musetti.
Davidovich, Kuhn, Munar e… gli altri Nadal
Essendo il più giovane, Alcaraz si porta via la gran parte delle attenzioni, ma non è l’unico dei baby spagnoli che punta a un futuro importante. Da quando il circuito è ripreso nell’estate scorsa sta facendo grandi cose Alejandro Davidovich Fokina, che ha mamma russa e papà svedese, ma è nato a Malaga e gioca (volentieri) per la Spagna. Si era parlato della sua storia quando nel 2017 vinse il singolare juniores a Wimbledon, ma da allora nel circuito maggiore non aveva combinato granché. Tuttavia, ha continuato a lavorare a Marbella con Jorge Aguirre, lo stesso coach di sempre, e lo stop forzato per l’emergenza sanitaria gli ha fatto bene: al rientro è arrivato agli ottavi di finale allo Us Open, poi ha fatto lo stesso a Parigi Bercy, e i recenti quarti di finale a Monte Carlo l’hanno portato fra i primi 50 del mondo. Ha lasciato il Principato in lacrime per un infortunio nella sfida contro Tsitsipas, ma certe chance le avrà ancora. Perché malgrado il suo tennis non sia troppo appariscente, nella racchetta conta chi vince, non chi emoziona. Alejandro, con la freddezza tipica di chi ha i geni a metà fra Russia e Svezia, sa come si fa.
È invece spagnolo al cento per cento Jaume Munar, classe 1997, maiorchino come Nadal e uno dei primi a sposare anni fa la sua Academy, dove si allena con Tomeu Salva, l’ex gemello (e tutt’ora migliore amico) di Rafa nei tornei giovanili. Nel 2018 ha giocato le Next Gen ATP Finals, poi è stato numero 52 del mondo, mentre ora è sceso al n.88 e sarebbe fuori dai primi 100 se non si fosse aiutato con qualche Challenger. Tuttavia, il mese scorso a Marbella ha giocato la sua prima finale ATP e sulla terra battuta è un ottimo giocatore. Non diventerà Nadal, e probabilmente nemmeno Carreno Busta o Bautista Agut, ma a fine carriera avrà giocato più di una finale ATP. Sarà quello anche l’obiettivo di Nikola Kuhn, classe 2000, che poteva giocare per la Russia di mamma, la Germania di papà (rappresentata da under) o l’Austria dove è nato, invece ha scelto la Spagna dove risiede da quanto ha tre mesi, nei pressi di Alicante. Quando nel 2017 ha vinto a 17 anni il Challenger di Brauschweig, uno dei più importanti del calendario, sembrava già pronto per sfondare, invece 4 anni dopo il suo best ranking è fermo al numero 174 e nel circuito maggiore ha vinto solo tre partite. Ma il potenziale resta enorme e di tempo a disposizione ne ha ancora molto. Si farà.
Parlando di futuri Nadal, è obbligatoria una menzione per due tennisti che Nadal lo sono dalla nascita, ovvero Joan e Toni, cugini di Rafa. Sono i due figli di zio Toni e di Joana Maria Vives, quei ragazzini che talvolta nel corso degli anni è capitato di vedere nel box dell’ex numero uno del mondo, in particolare durante il torneo di Wimbledon. 16 anni Joan, 18 Toni, hanno fatto il loro esordio a livello internazionale a gennaio, con una wild card nelle qualificazioni dei tornei da 15 mila dollari di montepremi ospitati dalla Rafa Nadal Academy di Manacor. Nessuno dei due è riuscito a guadagnarsi il tabellone principale, e per il momento non hanno classifica ATP, ma indipendentemente da ciò che decideranno di fare in futuro, con quel cognome non passeranno mai inosservati. Con o senza la racchetta da tennis.