Una tradizione centenaria, una club house di prestigio, due grandi manifestazioni come Lambertenghi e Bonfiglio. Senso di appartenenza e nuove sfide da vincere sono la linfa vitale del Tc Milano A. Bonacossa, un circolo che ha l’ambizione di dare ai giovani la migliore formazione

Girare per le vie del quartiere Cagnola a Milano, vuol dire trovarsi spesso con il naso all’insù. Sembra davvero di tornare indietro nel tempo, quando il liberty si impose nella prima parte del secolo scorso, con il suo stile morbido, elegante. Sono diverse le villette che in questa zona di Milano ricordano quell’epoca, con il loro aspetto austero ma charmant. I milanesi non a caso li chiamano «castelli». Dobbiamo tornare indietro di quasi cento anni per raccontare la storia del Tennis Club Milano sotto il profilo urbanistico. È il conte Alberto Bonacossa, sportivo di razza, papà degli Internazionali d’Italia e della Gazzetta dello Sport, a convocare il giovane architetto Giovanni Muzio per conferirgli l’incarico di costruire la Club House.

A Muzio viene chiesto di ricalcare le orme della cosiddetta Ca’ Brutta di via Moscova. Gli si chiede di realizzare quindi un’altra villa urbana, classica ma innovativa per l’epoca. Muzio ne cura anche le rifiniture, la scelta dei materiali, i rivestimenti lignei e i mobili. Bisogna riconoscere allo storico club milanese di aver ben conservato la sua storia, pur con le necessarie modifiche d’uso. Ampie vetrate, la palazzina rettangolare con due esedre, tutto è stato conservato nobilmente. Il rispetto architettonico si traduce nel rispetto per la propria storia: la modernità introdotta, ma senza sconvolgimenti.

Sembra essere questo il segreto di questo club meneghino: affrontare le «sfide 2.0» con un dinamismo al passo coi tempi, ma facendo leva sulle certezze che affondano le loro radici nella propria lunga vita.

Due tornei prestigiosi come la Coppa Porro Lambertenghi, da sempre vetrina delle speranze italiane, e il Trofeo Bonfiglio che è di fatto un campionato mondiale junior, sono rimasti il fiore all’occhiello milanese, esemplificando la difesa della propria storia e il desiderio di mantenerne vivi i valori.

Le forme estetiche dell’edificio diventano valore aggiunto se riescono a creare una magica osmosi con strutture tecniche e sportive al passo coi tempi.

Non sappiamo se Il Tc Milano abbia fatto un patto col diavolo: certo, l’insieme funziona. E la prova è l’eterogeneità del socio, il mix a nostro avviso vincente di età, che fa dell’area di 16mila metri quadrati un gradevole porto di attracco dai nonni ai bambini.

La struttura tennistica vanta 16 campi da tennis: 12 in terra rossa, 1 in play-it, 1 in cemento e 2 in mateco.

Nel periodo invernale ne vengono coperti 13. In campi in terra rossa del Tcm sono considerati anche dalla Itf tra i migliori in Europa, molto simili a quelli del Roland Garros.

La piscina è datata 1929, con un restyling importante diciotto anni dopo, il club ha sfruttato il lockdown per rinnovarla. Più recenti sono il campo da calcetto e la realizzazione del baby club, uno spazio a verde attrezzato, destinato ai bambini, figli di soci, che non abbiano ancora compiuto i sei anni di età e che quindi non possono associarsi.

La palestra è moderna, dotata di macchine cardiofitness, macchine isotoniche per l’allenamento muscolare e la riabilitazione, stazioni aerobiche e postazioni per la tonificazione muscolare. Altre due sale sono dedicate alle più disparate forme di ginnastica e benessere: dallo spinning allo stretching, tutte con relativi corsi e istruttori che personalizzano i programmi di allenamento del socio che li richieda.

Poi c’è l’ampia area ristorazione: il bar tavola calda, il ristorante con terrazza e vista sul tennis e il suggestivo secondo ristorante, sul terrazzo della piscina. Nella palazzina sono ovviamente riservate al gioco delle carte due ampi saloni, dove rivive l’atmosfera glamour degli anni ruggenti.

«Prima che tutto si fermasse, venivamo da un momento di grande entusiasmo: per la crescita del tennis italiano, con i risultati dei nostri campioni da Berrettini a Sinner, da Cecchinato a Sonego e agli altri giovani talenti. Nel 2019 abbiamo avuto un boom di iscrizioni alla scuola tennis, oltre a ospitare a Milano la finale del Next Gen. Io sono convinta che quando tutto tornerà normale, questa ondata di entusiasmo verso il nostro sport continuerà. Lo vedo in tempi difficili come questi, nella richiesta di fare sport e di fare tennis, o padel, che viviamo. Non ha idea di quante richieste di lezioni private ci sono pervenute. Ripartiremo forti come prima».

Martina Alabiso, 35 anni, è avvocatessa con un Master in marketing e management alla Luiss di Roma e un’esperienza anche alla Procura della Federtennis. Dal 2018 è il direttore del circolo, conscia delle responsabilità che comporta organizzare la vita di uno dei più prestigiosi circoli europei di tennis.

Fare il direttore di un circolo sportivo che vanta numeri da piccolo comune equivale a responsabilità da primo cittadino. Da sindaco di una comunità: il compito di chi deve portare avanti l’attività di un club che vanta mille soci, in un periodo storico come questo, comporta uno spettro molto più ampio di responsabilità, che l’avvocatessa Alabiso condivide quotidianamente con la collega Elena Buffa di Perrero, presidente del Tc Milano dal 2016. Responsabilità sportive e sociali, amministrative e legali, cui si aggiungono amplificate le questioni inerenti alla salute e alla prevenzione. Fare il direttore di un mondo che è affamato di vita, di socievolezza, di sport, vuol dire usare l’arma del sorriso, con cui si affrontano le tematiche discusse in ambiti differenti, finanche in Parlamento, bilanciare in modo armonioso diritti e doveri. Compito, nel caso di Alabiso, agevolato anche dall’essere un’ottima tennista, un recente passato da 2.5, che ha fatto parte del vivaio della formazione di A1 del Tc Viterbo che ha vinto 5 scudetti tra il 2005 e il 2010.

«Stiamo vivendo in un limbo – spiega Alabiso – cercando di venire incontro a esigenze molto diverse tra loro. Non è un compito così semplice, capisco la difficoltà di chi governa, ma il vivere alla giornata è destabilizzante per qualunque attività produttiva anche per coloro che devono dare risposte alle richieste di chi vuole fare sport in sicurezza, e il tennis è sport scientificamente sicuro e per questo, riteniamo, troppo penalizzato. Per questo i passaggi repentini dalle zone gialle alle arancioni e dalle arancioni alle rosse, rappresentano difficoltà nelle difficoltà per chi lavora. Difficile è spiegare ai dipendenti di un bar o di un ristorante all’interno di una struttura che oggi devono aprire e domani invece stare chiusi. Vivere alla giornata, senza programmazione, non è possibile in nessun settore produttivo. Ed è difficile accettarlo, come lo è spiegare ai non agonisti che non possono praticare lo sport che amano per ragioni che non hanno un reale fondamento scientifico».

In occasione del primo lockdown, il direttore Alabiso sottolineò come in una situazione così difficile, si instaurò un rapporto di collaborazione e di confronto tra circoli, apparentemente competitori, alle prese con gli stessi nodi da sciogliere. Una collaborazione che ha portato a un ricorso al Tar (poi respinto, ndr), firmato da numerose realtà sportive come il Tc Milano, nella sostanza dell’impegno se non nella dimensione, per chiedere al Governo una maggiore liberalizzazione del tennis, sport pienamente sicuro e nel rispetto del protocollo, se si rispettano le regole. Argomento spinoso, parlare della vita di un grande club come il Tc Milano, in una situazione in continua evoluzione come quella imposta dalla pandemia.

Dottoressa Alabiso, una seconda ripartenza, dopo la (mezza) prima, in estate: è ancor più complessa?

«In un certo senso sì. Non pretendiamo di avere certezze, è nostro dovere nutrire i dubbi, è nostro dovere avere la massima comprensione verso tutti. Verso i dipendenti, che vivono un momento di grande incertezza. Devo dire che il nostro staff è stato a dir poco straordinario, per l’elasticità che ha dimostrato, nelle situazioni che si rovesciavano da un momento all’altro. Che si traduce nello scoprire a tarda sera che il giorno dopo si sarebbe aperto, poi vedere cambiare gli scenari, e questo ripetutamente. Lo staff ha fatto davvero i salti mortali. Tutto questo con forte senso di responsabilità, a maggior ragione in uno dei territori colpiti più duramente dalla pandemia. Vuol dire dimostrare consapevolezza, vuol dire esigere la piena sicurezza e il rispetto di regole chiare».

E poi ci sono i soci che vi frequentano…

«Già. Nel rispetto delle norme, non deve essere trascurato il prezzo che pagano, che siano i ragazzi che sentono il bisogno di riavere i loro spazi e di frequentare i loro amici, o i tanti amatori, la cui attività è stata rinvigorita dalla politica federale: pensi che qui al Tc Milano vantiamo la partecipazione a ben ventisei gare».

Avete sfruttato la quarantena per sistemare la struttura: in che modo?

«Abbiamo fatto lavori di manutenzione per sistemare una parte della piscina, lavorato con il placet della Soprintendenza a restaurare la nostra splendida Club House, per esempio negli stucchi del salone, ora abbiamo in mente di dare vita a opere di riqualificazione energetica, insomma, abbiamo completato lavori che solitamente vengono più dilatati nel tempo. Però…».

Però?

«Però tutto questo impegno non vuol dire non tener conto del momento delicato sotto il profilo economico che stiamo vivendo. Dunque anche questi lavori sono stati affrontati con lungimiranza, auspicando di poter vedere la fine del tunnel».

Non abbiamo la sfera di cristallo, non possiamo prevedere il futuro. Ma cosa si sente di dire circa il futuro prossimo venturo che riguarda le grandi manifestazioni, dal Bonfiglio 2021 alla Porro Lambertenghi?

«Che dobbiamo nutrire la speranza, anche se non ci sono certezze. Vede, ci era stato proposto di giocare il Bonfiglio ad agosto, ma a un attento esame delle responsabilità e delle richieste complesse che il tutto comportava, abbiamo ritenuto che non fosse il caso di affrontare il rischio. Ora siamo nel 2021: vediamo. Abbiamo già affrontato una prima riunione con l’ufficio stampa, vede? Vuol dire che ci contiamo, anche senza avere certezze».

E la Lambertenghi?

«Nel 2020 siamo riusciti a vincere la sfida organizzativa, abbiamo potuto farlo grazie a persone responsabili che hanno capito le esigenze del protocollo e hanno pienamente rispettato le regole. Posso dire che è riuscita bene, anche se abbiamo sofferto l’assenza di pubblico».

Vi guardate attorno?

«In prospettiva per capire in che direzione ci muoviamo, ma, ripeto, senza certezze. Abbiamo visto tutti cosa è capitato a Monastir, a gennaio, dove si è dovuto chiudere tutto dopo aver disputato un intero primo turno, in mezzo alla settimana. Come tutti gli appassionati osserviamo quello che sta accadendo».

Per tornare a raccontare la vita di un grande circolo in tempi di normalità. «La nostra vita attuale è dimezzata, perché in situazioni normali abbiamo un migliaio di soci, 500 allievi della scuola tennis, un centinaio di professionisti. La vita è scandita dagli impegni familiari perché sono le grandi famiglie a determinare la vita quotidiana di un club. Sono gli amici dei tavoli delle carte, non più giovanissimi, sono i cittadini che vogliono beneficiare di sedicimila metri quadri di struttura, piscina, palestra, aree servizi o fare semplicemente una passeggiata nel parco. In tempo di pace (ride, ndr.) il circolo è una piccola città, ma negli spazi che gestiamo, non conosciamo assembramento».

Nemo profeta in patria dicevano i latini. Non sappiamo se sia una regola, sappiamo però che Matteo Cecchetti, da dieci anni responsabile tecnico del Tc Milano, smentisce con la sua storia personale, e categoricamente, il detto degli antichi. «Se chiudo gli occhi e mi volto indietro mi vedo bambino, portato al circolo dal mio papà. Ricordo quanto fosse importante per me quell’atmosfera particolare, unica. In campo c’erano quelli che avevano fatto la storia del tennis in Italia, come Lea Pericoli o i campioni Maggi. Quella specie di soggezione, di rispetto dovuto, è ancora ben presente in me». Cecchetti ha fatto tutta la trafila prima di essere chiamato a guidare il settore dell’agonistica, dieci anni fa. «Qualcosa che inorgoglisce e che si traduce in una grande responsabilità», dice. «Il Tc Milano è casa mia».

Cecchetti sottolinea come il circolo abbia in questi anni fatto la scelta di fondo di creare uno staff di maestri che hanno giocato al Tc Milano e quindi sono legatissimi alla ‘maglia’. Lo staff dell’agonistica è composto da 8 maestri, tre preparatori atletici, uno psicologo e un osteopata: «Tra noi c’è un clima molto favorevole, un affiatamento e una stima reciproca fondati sull’impegno e la serietà, perché pensiamo che creare un ambiente così giovi al conseguimento degli obiettivi che ci prefiggiamo».

Per strutture e competenze, il Tc Milano fa parte delle top school, ma senza i risultati a certificarlo non potrebbe vantare, risultato da poco annunciato, un posto preminente nel Gran Premio delle scuole tennis in Italia. «Qualcosa che ci pungola a dare sempre il meglio», dice Cecchetti.

La scuola tennis del club vanta ben 500 bambini: «Cominciamo a mettere loro la racchetta in mano a 3 anni e a 7-8 anni i più motivati entrano nell’agonistica, con l’obiettivo di dare un’attività formativa, prima di tutto, quindi senza forzare i tempi della crescita». In età da scuola primaria, lo sport deve essere prima di tutto divertimento, cominciando a introdurre il valore delle regole. Del settore agonistico fanno parte 70 giocatori, dieci seguiti a tempo pieno, ed essi compongono tutte le categorie che fanno campionati a squadre, a cominciare dagli Under 10, fino ai ‘grandi’.

Fino cioè alla serie C maschile e alla serie B femminile. «L’obiettivo è quello di tornare in serie A, e per questo abbiamo cambiato la politica del club. Negli ultimi anni, infatti, spesso abbiamo avuto ospiti del nostro club per allenarsi giocatori molto forti, senza mai puntare a tesserarli per noi, lasciando loro la libertà di rappresentare altri club. Oggi è venuto il momento di puntare a trattenerli, per fare un salto di qualità e tornare alla massima categoria, dove abbiamo giocato fino a quindici anni fa».

Nello staff agonistico di Cecchetti troviamo tra gli altri Alberta Brianti che ricordiamo tra le prime 60 tenniste del mondo, ma elementi di spicco della squadra del Bonacossa sono al femminile anche la valdostana Martina Caregaro, già chiamata in azzurro da Barazzutti nella squadra di Fed Cup, e la svizzera Susan Bandecchi. La promessa è rappresentata da Jennifer Scurtu tra gli under 14. In campo maschile spicca il bustocco Simone Roncalli, attualmente 676 del mondo, mentre tra i sedicenni Ceradelli e Veerstegh e, un gradino sotto per categoria di età, Edoardo Cecchetti e Matteo Ceppi. «Mi piace sottolineare come tutti i nostri ragazzi – chiude Cecchetti – considerino i nostri istruttori come riferimenti importanti. I giovani hanno tanto bisogno di regole, contrariamente a quello che qualcuno ritiene».

LO STAFF TECNICO

DIRETTORE TECNICO

Matteo Cecchetti

CONSULENTE TECNICO

Danilo Pizzorno

MAESTRI

Alberta Brianti, Mirko Merli, Luca Ottavi, Marco Rossi, Mauro Simoncini, Andrea Turco, Francesco Zacchia

PREPARATORI ATLETICI

Alessandro Buson, Christian Perone, Davide Giuliani

PSICOLOGO

Alessandro Buson

OSTEOPATA

Davide Giuliani

LE SQUADRE

SERIE C MASCHILE

Roncalli (2.1), Filippo Speziali (2.3), Fossati (2.4), Conca (2.4) Giammario (2.5), Versteegh (2.5) e Ceradelli (2.6)

SERIE B FEMMINILE

Attias (2.6), Carbone (2.6), Bruni (2.7), Scurtu (2.7), De Simone (2.7), Palazzo (2.8), Bordini (2.8)

Da anni il club ha una collaborazione con il Piatti Tennis Center di Bordighera, dove durante l’anno si reca per diversi stage tecnici