Dalla rivista “Il Tennis Italiano”, luglio 2022 – di Milena Naldi

Gianni non c’è più. Il mondo del tennis, e non solo, persone, giocatori, studiosi, appassionati di questo meraviglioso sport, ne porta con sé un ricordo indelebile, spesso contornato da un piacere, quasi fisico, nell’averlo incontrato, amato, ascoltato e letto. Sono tanti quelli che, per anni, preferivano Repubblica solo per leggere i suoi commenti, i suoi ragionamenti, le sue geniali e raffinate riflessioni sul tennis e sulla vita; o seguivano le sue telecronache solo per il piacere di ascoltarlo, anche se il tennis non gli interessava, ma c’era lui. Vita meravigliosa piena di incontri straordinari, capacità critica e visione indipendente, pensiero libero e puro. Giornalista per caso, scrittore per vocazione, ci teneva a ricordarmi: “Sai Milena questo è il mio ventisettesimo libro”.

E un giorno ci siamo detti facciamo il ventottesimo, insieme, sull’arte e il tennis. Il rapporto di Gianni con l’arte era quello tipico di un intellettuale a tutto campo, non poteva escludere dalla sua vita questa disciplina, amava la poesia, il teatro, la letteratura, la musica e quindi anche l’arte. Non in maniera specialistica, ma amatoriale, frequentava tutti i musei del mondo, a seguito del suo pellegrinare nei tornei di tennis, a Londra, a Parigi, a New York, a Melbourne, si ritagliava il suo tempo e, tra una telecronaca e la scrittura di un pezzo, osservava curioso i capolavori d’arte e ne apprezzava la qualità, si divertiva.

E ancora più divertente era intrecciare questo amore per l’arte con il suo primo grande amore, il tennis. Raccogliere, cercare, catalogare e acquistare, quando gli è stato possibile, opere d’arte, sculture, dipinti, incisioni e tutto ciò che aveva come tema il tennis. Diviene quindi uno dei più raffinati collezionisti ed è in questo suo peregrinare che avviene il nostro primo incontro. Erano i primi di luglio del 1995, quando, durante Wimbledon, Londra si riempie anche di appassionati d’arte per la settimana dell’antico. In quell’occasione le case d’aste di Sotheby’s e Christie’s e le gallerie private danno sfoggio della migliore offerta di opere d’arte, frutto di ricerca e di affari, e Gianni non mancava mai di frequentarla. Il suo telefono squillava quando storici dell’arte o mercanti trovavano qualcosa di interessante sul tennis, lo avvisavano e lui correva. Come fece quell’estate perché da Sotheby’s era in vendita un bellissimo paggio cinquecentesco con in una mano una racchetta e nell’altra una pallina, stupendo. Anch’io, amando da sempre l’arte e il tennis, ero accorsa per vederlo. Davanti a quel quadro, in una parete dell’esposizione, dietro un angolo, ci incontrammo per la prima volta. Riconobbi, emozionata, quell’omino con gli occhiali spessi e l’andatura un po’ dinoccolata che seguiva con la mano l’andamento delle corde della racchetta dipinta. Non ricordo bene cosa gli dissi, ma di certo non mi lasciai sfuggire l’occasione di parlargli, di condividere con lui quello straordinario documento del tennis. Facemmo amicizia, e dopo quell’incontro, ogni anno ci vedevamo a Londra, e molte volte ho avuto il privilegio di accompagnarlo a Wimbledon e di sedermi nella sala stampa, nel suo angolo, e seguire lo sviluppo del pezzo che stava creando sulla partita appena giocata, sempre meglio della partita stessa, anche la migliore.

Poi cominciai ad aiutarlo nella sua ricerca collezionistica, gli regalai perfino una incisione sul tennis rarissima. Ricordo la sua gioia di bambino davanti a quella incisione, che non conosceva. Perché Gianni, per il tennis, è come Roberto Longhi, suo amico per altro, per gli storici dell’arte, un fantastico apripista. Il primo che scrivendo quella vera e propria bibbia, I Cinquecento anni del tennis, apre le porte, nel lontano 1972, ad una interpretazione storica del gioco intrecciata all’arte, come solo lui ha saputo raccontare. È quel libro che gli ha permesso di entrare nella Hall of Fame e con Nicola Pietrangeli sono gli unici italiani a farne parte.

Gianni sembrava a tutti uno smemorato, il Dottor Divago, una mente che fluttua nell’aria senza regole, solo con emozioni o intuizioni, ma in realtà era un pignolissimo catalogatore. La sua biblioteca è perfetta, meticolosa e completa di libri sul tennis, di riviste, di articoli di giornale, di tutto quello che gli serviva per poi, con leggerezza, condire i suoi articoli di inediti accostamenti e paralleli. Tanto studio, tante letture, nessuna improvvisazione, ma il frutto di un lavoro che non ha eguali.

E così, incontro dopo incontro, decidemmo, nel 2017, di scrivere a due mani, Il tennis nell’arte, che mi permise di passare una lunga estate nel suo studio a scegliere le immagini, a studiare la storia del tennis, guardando il lago di Como, suo amatissimo compagno di vita. Ho imparato tanto, mi si è aperto un mondo, una enorme opportunità, ho potuto scandagliare ogni suo acquisto, e, sempre seguendo le sue orme, offrirgli uno sguardo più specialistico da storico dell’arte, che lo stupiva, e mi disse: “Devi continuare tu il mio lavoro!”.

Gianni aveva un desiderio, quello di poter vedere la sua collezione esposta in un grande museo del tennis. Una straordinaria collezione raccolta nella sua casa, piena di tennis, dal portacenere, al tagliacarte, alle sue racchette, dove ogni oggetto, piccolo e grande, narra di un incontro, ma che soprattutto racconta di lui. Siamo riusciti ad esaudirlo e così nel posto più prestigioso, Newport, da un anno, è lì esposta parte della sua collezione. Gianni ne fu così felice, e noi tutti e la sua amata famiglia con lui.

Tra i tanti dipinti presenti nella sua collezione, c’è un dipinto di Ugo Sambruni (classe 1918), pittore comacino, non proprio famoso, ma dalla vita estremamente interessante, che partecipa alla XXIII Biennale di Venezia nel 1942 e riceve riconoscimenti come il Premio alla Permanente di Milano nel 1955 o il Premio Giovanni Segantini a Sankt Moritz nel 1968. Amico di Gianni, ovviamente, come tanti artisti della sua terra, nel 1956 gli fa il ritratto mentre esegue uno smash. Il dipinto coglie perfettamente la figura di Gianni “tennista perdente” come amava definirsi, ma in realtà grande sportivo, calciatore anche, e ne sottolinea la irregolarità, ma anche una forma di profonda determinazione, per non dire di testardaggine. La gentile umiltà e apparente mitezza di Gianni era permeata da una granitica forza di volontà, sapeva sempre ciò che voleva e, in tutta libertà, ha sempre scelto e fatto ciò che voleva, come solo i grandi maestri sanno fare. Gianni voleva il tennis e il tennis voleva lui, Re dei giochi, per sempre.