Ruud per la Norvegia, Ruusuvuori per la Finlandia, Rune per la Danimarca: è ancora possibile nascere ottimi tennisti al freddo della Scandinavia, a patto di fare le valigie e andare a studiare dai migliori. Casper Ruud l’ha fatto a casa Nadal, e sulla terra sta diventando una certezza. A Monte Carlo ha una grande occasione

L’occasione di Ruud, che polverizza i record di papà

Ruud, Ruusuvuori e Rune. Uno scioglilingua? No: i tre nuovi protagonisti del tennis nordico, equamente divisi fra Norvegia, Finlandia e Danimarca. Manca la Svezia, che dopo aver fatto festa per anni con Borg, Edberg, Wilander e tanti altri deve accontentarsi dell’appena top-100 (e di genitori etiopi) Mikael Ymer, mentre gli altri tre paesi scandinavi dormono sonni tranquilli aggrappati ai loro giovani emergenti. Alle spalle dei tre “Ru” c’è poco o nulla, ma la buona notizia è che a trascinare il movimento dovrebbero bastare loro, che hanno già fatto tanto e promettono ancora di più. Chi se la passa meglio di tutti è Casper Ruud, che battendo Fabio Fognini si è guadagnato la semifinale a Monte Carlo, e sulla terra sta diventando una garanzia. Negli ultimi due Masters 1000 sul rosso è arrivato due volte fra gli ultimi quattro, lo scorso settembre agli Internazionali d’Italia e poi al Country Club del Principato, e a Parigi ha fatto il possibile per due anni di fila, perdendo al terzo turno da Federer e Thiem.

Magari il 22enne norvegese non diventerà una star del tennis del futuro, ma intanto va sempre più su e ha tutta l’aria di uno di quei giocatori che a fine carriera piantano il chiodo con serenità, certi di aver fatto il possibile e magari pure qualcosina in più. Lo dice la sua crescita lenta ma costante, e più che sufficiente per polverizzare i record del papà-coach Christian, che fino allo scorso anno era il miglior tennista norvegese di tutti i tempi, col best ranking al numero 39 e otto anni fra i primi 100. Poi nel 2020 Casper ha vinto il suo primo titolo ATP a Buenos Aires e l’ha superato, e con la semifinale monegasca salirà al numero 24, ad appena un centinaio di punti dai primi 20. La ricetta per emergere Ruud l’ha avuta chiara fin dall’inizio: ha capito che doveva puntare soprattutto sulla terra, e anche che la Norvegia va benissimo per diventare sciatori, un po’ meno per provare a fare strada nel tennis. Così si è trasferito presto in Spagna, e poi è andato a prendere ripetizioni nel salotto del migliore, señor Rafael Nadal. Per un periodo si è allenato in pianta stabile nella sua Academy di Manacor, mentre ora ci va solo a spot, ma l’idea ha funzionato.

“Fra i pochi a preferire la terra: mi servirà”

Oggi i tornei sulla terra battuta sono molto meno che in passato, quindi per chi punta forte sul rosso è più difficile arrivare in alto, ma per Ruud potrebbe addirittura trasformarsi in un vantaggio. Perché gli altri giovani che puntano a pensionare i Fab Three – Medvedev su tutti, ma anche Rublev, Shapovalov, Zverev o Tsitsipas – giocano meglio sul duro, ed è lì che anche per questioni di calendario concentrano la gran parte dei loro sforzi. “Io invece sono uno dei pochi che preferisce la terra al cemento – ha detto –, mi auguro che questo possa darmi ragione. Fatta eccezione per Thiem, che è un po’ più grande di noi, nessuno degli altri sin qui ha fatto cose incredibili sulla terra. Spero che in futuro possano arrivare delle opportunità”. Il ragionamento ha senso, e per la prima occasione il futuro è oggi: il posto in finale a Monte Carlo non se lo giocherà con l’undici volte campione Nadal ma con Andrey Rublev, curiosamente un altro “Ru”, che giocando un tennis monumentale ha fatto fuori il Re della terra e aperto lo spazio per un nome nuovo nell’albo d’oro dei Masters 1000.

“Il mio obiettivo – continua – è di diventare uno di quei giocatori che, su un determinata superficie, incutono timore all’avversario ancora prima di entrare in campo. Oggi, se uno affronta Nadal o Thiem sulla terra, sa che per avere una chance deve giocare il suo miglior tennis per tre ore, perché dall’altra parte c’è un giocatore che non molla una sola palla. È lì che vorrei arrivare nella mia carriera”. Intanto, nel 2020 sul mattone tritato ha vinto più partite nel Tour di chiunque altro, e l’avvio della nuova stagione europea sul rosso non poteva essere migliore. Ma attenzione ad associarlo solo alla terra, perché nel corso dell’ultimo inverno Ruud ha lavorato sodo per giocare più vicino alla linea di fondo, e i risultati si sono visti a Melbourne, dove è giunto alla seconda settimana eguagliando anche l’ultimo record di papà, che arrivò agli ottavi nel ‘95. “La terra rimarrà sempre la mia miglior superficie, ma non significa che non posso fare bene altrove. Essere un buon giocatore sulla terra equivale a essere un buon giocatore di tennis. A 360 gradi”.

Ruusuvuori e Rune: altri due da tenere d’occhio

Mentre la Norvegia punta su Ruud, la Finlandia come erede di Jarkko Nieminen, numero 13 del mondo nel 2006 con due titoli ATP in bacheca, ha individuato il fresco 22enne Emil Ruusuvuori, che nell’Academy del suo illustre predecessore si è allenato in passato. È proprio lì, a Helsinki, che ha conosciuto Federico Ricci, il suo attuale coach italiano che dopo un passato di successo in Florida era volato al freddo per sposare il progetto di Nieminen. Ricci e Ruusuvuori lavorano insieme da anni e il progetto funziona: il giovane si sta facendo le ossa e può costruirsi un futuro interessante, di cui ha già dato qualche dimostrazione. Ultima i recenti ottavi al Miami Open dove ha fatto fuori Sascha Zverev, che fra i giovani della sua generazione è stato il primo ad arrivare, ma non è ancora riuscito (e spesso fa pensare che mai ce la farà) a sostituirsi ai soliti noti che comandano il Tour da 15 anni abbondanti. Difficilmente saprà arrivare a tanto Ruusuvuori, anche lui transitato dalle temperature miti di casa Nadal durante l’ultima preparazione invernale, ma il best ranking di Nieminen non è affatto fuori portata.

Holger Rune, invece, il suo rapporto con “Rafa” l’ha costruito due anni fa, quando ha vinto il Roland Garros juniores e ha detto che i dodici – poi ritoccati a tredici – trionfi del maiorchino a Porte d’Auteuil sono un traguardo fattibile. L’ha sparata giusto un tantino grossa, ma l’uscita la dice lunga sul carisma – e sui 17 anni – del baby fenomeno di Charlottenlund, piccolo paese affacciato sul Mare del Nord, che sogna di diventare Nadal ma potrebbe accontentarsi di essere l’equivalente maschile dell’ormai ex Caroline Wozniacki, che uno Slam l’ha vinto e si è guadagnata 71 settimane da numero uno WTA. Risultati ancora lontanissimi per il danese, che a livello ATP ha raggiunto solo i quarti a Santiago e oggi è numero 322 del mondo, ma nel suo tennis definito “senza punti deboli” da Patrick Mouratoglou (che lo segue da quattro anni) è impossibile non notare qualcosa di speciale. Quindi sì, il giovane si farà e ha tutto per lottare in futuro per i titoli che contano. E dimostrare, insieme agli altri “Ru” della racchetta scandinava, che si può nascere ottimi tennisti anche lassù al freddo, dove sono gli sport invernali ad andare per la maggiore.