Il successo a Montreal, il primo in carriera in un Masters 1000, ha messo in mostra tutte le qualità del giocatore iberico, dimostratosi ancora una volta un giocatore adattabile a qualsiasi tipo di superficie.

A dispetto della sconfitta patita a Cincinnati dal serbo Kecmanovic, la vittoria di Pablo Carreno Busta sul cemento di Montreal mostra ancora una volta che appassionarsi all’idea di specialisti dell’una o dell’altra superficie sia ormai roba da pignoli incalliti. Sul duro del Quebec lo spagnolo ha maturato un settimo titolo in carriera che lo rimanda a ridosso dei primi 10 del mondo, ma soprattutto ne fa un giocatore molto duttile capace di esprimersi bene a prescindere da cosa scorra sotto i propri piedi.

L’iberico delle Asturie non è proprio uno sbarbatello di primo pelo e da anni si è fatto rispettare sul circuito dando la sensazione di essere un brutto pesce per tutti. Il suo primo titolo risale al 2016 in quel di Winston Salem, appaiato nello stesso anno a quello di Mosca indoor. Sono seguiti altri successi e ottimi piazzamenti su ogni terreno e la carriera dello spagnolo, si è costruita formichella formichella inseguendo la continuità dei risultati senza necessariamente specializzarsi sullo stile corri e tira tipico della sua terra. Una scelta che racconta di come le qualità troppo settoriali servano a poco e l’unica cosa che vale veramente sia oggi da annoverare nella duttilità o se volete nello spirito di adattamento.

Marcando le presunte diversità dovute alle superfici, va ribadito che l’altezza e la velocità dei rimbalzi si è molto uniformata negli ultimi anni e le differenze nella concezione tecnico-tattica del match, sono più nella testa di chi scrive che non dei giocatori stessi. Stando così le cose, punterei di più il dito sull’esigenza di avere nelle corde un bagaglio tecnico completo, necessario per ambire alla scalata della famigerata classifica. Con un diritto che arriva agli occhi come uno dei migliori del circuito, Carreno Busta è un ottimo testimonial della new wawe che imprime grande pressione da dietro senza disdegnare incursioni a rete, talora con qualche indecisione di troppo ma comunque con l’impronta consapevole del giocatore a tutto campo.

È vero, allo spagnolo mancano riscontri tangibili colti sull’erba, ma i quarti ad Halle di quest’anno dicono che il buon Pablo si stia attrezzando sull’argomento e che, pur arrivato alla trentina suonata, la curiosità di completarsi sia sempre lì, pronta a tracciare la strada verso ulteriori miglioramenti.