Carlos Alcaraz è certamente uno dei grandi favoriti del Roland Garros: ecco le sue dichiarazioni prima dell’esordio a Parigi

Carlos Alcaraz è certamente uno dei grandi favoriti del Roland Garros: tornato numero 1 del mondo dopo il Masters 1000 di Roma – sebbene non abbia ben performato sui campi del Foro Italico -, il 20enne di Murcia tenta di succedere, nell’albo d’oro del secondo Slam stagionale, a due leggende viventi del tennis che ne hanno monopolizzato il trofeo nel corso delle ultime 7 stagioni, Novak Djokovic e Rafael Nadal (quest’ultimo assente).

“Credo di essere così competitivo perché fin da piccolo ho avuto l’ossessione di vincere, è una cosa che ho dentro di me ha affermato Alcaraz nel corso di un’intervista a L’Equipe . Nessuno nella mia famiglia voleva mai perdere. Per tutto il tempo sono al 100%, non riesco a controllare la mia energia. Cerco sempre di arrivare su ogni palla e sono molto esigente con me stesso. Credo che se non fossi in questa modalità in campo il mio lavoro non sarebbe altrettanto piacevole. Per me non è possibile immaginare il tennis in maniera diversa”.

Lo spagnolo ha poi precisato: “Bisogna sempre provarci, ma non solo in campo per andare a prendere una palla bensì anche nella vita. I momenti di debolezza e i fallimenti ci sono, tuttavia non bisogna mai smettere di provare. Questa è la mia filosofia: penso sempre di poter rimettere in gioco la palla e di poter vincere il punto. Non mollo mai, questa capacità è preziosa anche nella vita”.

Il campione in carica degli US Open ha anche spiegato uno dei segreti della sua smagliante forma fisica. “Ho sempre saputo addormentarmi facilmente, ovunque mi trovassi. Su aerei, treni, auto… Il riposo è essenziale e questi micro-pisolini di trenta minuti contano molto per il mio stato di forma. Cerco di farne diversi ogni giorno quando sono in un torneo”.

Focus, infine, sul rapporto tra sé e suo padre. “Mio padre è sempre stato ai margini, non mi ha mai dato consigli sul campo tranne quando ero piccolo, le domeniche, perché non smettevo mai di giocare a tennis, e quando lui non lavorava. Ma avevo il mio allenatore, il mio gruppo, e lui non veniva mai. Dietro le quinte, naturalmente, si parlava con gli insegnanti per vedere cosa andava o non andava, cosa cambiare, cosa acquistare. Sono fortunato ad avere questo equilibrio nel mio rapporto con lui. E quando sono a casa, si parla molto poco di tennis. Si guarda, certo, ma non si commenta molto, almeno non su di me. È una benedizione non aver avuto sulle spalle una forte pressione paterna, credo questa sia una delle ragioni per cui sono progredito così velocemente”.