Riproponiamo il pezzo pubblicato sul numero 10/2021 de Il Tennis Italiano: la storia, scritta in esclusiva per noi da Fernando Murciego, del ragazzo di Murcia arrivato per raccogliere l’eredità di Rafa Nadal e diventare il tennista di riferimento per i prossimi due decenni. Senza paragonarsi a nessuno, semplicemente facendo la sua strada

Il tennis come una religione

Il tennis maschile spagnolo negli ultimi anni ha goduto e sofferto allo stesso tempo. Mentre Rafa Nadal continuava a dispensare gioie con i suoi ultimi titoli Slam, un dubbio a lungo termine impediva infatti agli appassionati di assaporare in pieno quei trionfi. La domanda, ogni giorno più impellente, era se quei pomeriggi di gloria sarebbero finiti il giorno in cui Rafa avrebbe appeso la racchetta al chiodo. Come quando stai per rompere con la tua ragazza, e cerchi il momento per darle un ultimo bacio, sapendo che non ce ne saranno altri. Con un occhio guardavamo il presente, ma con l’altro scrutavamo il futuro, cercando un successore, qualcuno con la stoffa del campione che potesse calcare i grandi palcoscenici, che ci lasciasse senza siesta la domenica, che ci emozionasse con i suoi trionfi fin dal primo turno. Quella persona oggi ha già un nome e cognome: Carlos Alcaraz.

Nato a El Palmar (Murcia) nel 2003, Alcaraz era destinato a incrociare la sua strada con il tennis, a un certo punto della sua vita, e se quel momento non sarebbe comunque tardato ad arrivare. Suo padre, Carlos Alcaraz Senior, era infatti a sua volta un giocatore negli anni ’90, anche se non ad un livello sufficientemente alto per avere successo tra i professionisti. «Il tennis in famiglia è come una religione», ha confessato papà Alcaraz in diverse interviste. Ecco spiegato come mai suo figlio Carlos junior già a tre anni impugnava una racchetta. La storia, simile a tante altre, è quella di un padre che all’età di 18 anni ha dovuto abbandonare un sogno a causa di difficoltà finanziarie, e che ha lottato perché suo figlio non incontrasse gli stessi ostacoli sul proprio cammino. Ma sempre da lontano.

L’ambiente giusto

Arriviamo rapidamente a una delle chiavi del successo di Carlos Alcaraz: l’ambiente in cui è cresciuto. Suo padre è stata la tessera fondamentale nei suoi inizi ma, una volta che il ragazzo ha cominciato a volare da solo, non ha esitato a farlo uscire dal nido e a circondarlo di persone che il tennis lo conoscono da una vita. E’ stato così che nel 2017, dopo aver visto il figlio vincere il Master under 14 a Londra, Alcaraz senior ha capito che molto presto avrebbe dovuto farsi da parte e consegnare la carriera del figlio a un certo Juan Carlos Ferrero, ex numero 1 del mondo e campione del Roland Garros, con il quale ha iniziato a lavorare nell’estate del 2018.

Da lì è partita l’ulteriore tappa della carriera di Carlos junior, all’interno dell’Accademia Equelite (Villena), dove si respira tennis 24 ore al giorno. Il luogo ideale per assorbire l’esperienza di grandi professionisti.

Non solo terra

In pochi mesi la voce si è sparsa. Molti hanno iniziato a parlare di Carlos Alcaraz, un bambino prodigio che a 14 anni aveva già punti Atp. Suo padre, che era ben consapevole delle difficoltà che lo attendevano, si era preso la briga di allenarlo durante la sua infanzia su diverse superfici: tre giorni sulla terra battuta, due giorni su un campo in «duro». L’obiettivo era fare in modo che Carlos, quando avrebbe fatto il salto al circuito mondiale, non si sentisse a disagio in nessuna nessuna situazione. Naturalmente, a sorridergli di più è stata terra battuta. È lì che ha sfondato all’età di 15 anni, diventando il primo giocatore nato nel 2003 a vincere un match Challenger. E sapete chi ha battuto? Jannik Sinner, di due anni più grande di lui.

Ferrero gestisce la mente

Debutto da predestinato

Niente è arrivato per caso. Il ragazzo aveva talento, ma anche qualcosa di più importante: la capacità di ascoltare, di imparare, di migliorare ogni giorno ad un ritmo più veloce degli altri.

Così è arrivato il suo debutto Atp, a Rio, nel 2020, dove ha superato Albert Ramos (n. 41 del ranking) quando ancora era fuori dai primi 400 del mondo. Quella stessa estate la conferma è arrivata a Trieste, Barcellona e Alicante, tre Challenger che si sono conclusi con la stessa immagine, quella di Carlos seduto sul trono del campione e capace di piazza a un soffio dalla top 100.

A quel punto la sua fama era già arrivata oltre i limiti che normalmente sono concessi ad un atleta così giovane, i paragoni sono partiti per la tangente, e non c’era intervista in cui il nome di Nadal non apparisse. Era il momento di parlare.

Idolo Rafa

«Mi alleno ogni giorno per arrivare ad un buon livello e realizzare il mio sogno. All’interesse dei media e alle notizie che parlano di me cerco di non dare troppa importanza, di solito non leggo nulla. Guardo solo alcuni titoli perché qualcuno me li mostra, altri per caso, ma non vado mai a cercare gli articoli che parlano di me. Cerco di concentrarmi su di me e sul mio lavoro. Quando la gente inizia con i paragoni dico sempre la stessa cosa: non voglio essere accostato a Nadal o a tennisti di vertice perché sono ancora un bambino e loro sono già professionisti, alcuni di loro top 10 o addirittura numero 1 del mondo. Non voglio essere paragonato a Nadal, lui è il mio idolo da quando ero bambino».

Le parole sincere di un ragazzo che voleva solo andare in campo e gareggiare senza sentirsi uno zaino sulle spalle. Una fatica mentale che, essendo così giovane, sarebbe stata schiacciante per chiunque. La fortuna di Alcaraz è stata di avere al suo fianco una leggenda del tennis spagnolo che ha saputo in ogni momento limitargli l’ego e fargli tenere i piedi per terra. «Non hai ancora ottenuto niente», gli ripete Ferrero dopo ogni titolo. Un adagio che Alcaraz ha imparato alla lettera. Nei momenti di dubbio – i pochi che ha avuto finora – sa che se guarda la sua panchina, Juan Carlos sarà lì per dirgli esattamente quello che ha bisogno di sentirsi dire.

«È normale che la gente cerchi un futuro dopo Nadal e il resto dei tennisti spagnoli di oggi, ma non possiamo fare l’errore di paragonare ciò che Carlos può diventare con ciò che è Nadal. Non sarebbe un bene, né per lui né per nessun altro. Ora deve fare la sua strada e non pensare di poter essere il prossimo Nadal, perché confrontarsi con i migliori della storia è un peso molto difficile da portare», ha commentato Ferrero prima dell’esplosione mediatica del suo allievo.

Una crescita «alla Sinner»

Naturalmente, quell’esplosione era appena una scintilla se la paragoniamo a ciò che è successo nel 2021. Debutto agli Australian Open: secondo turno. Debutto al Roland Garros: terzo turno. Debutto a Wimbledon: secondo turno. Debutto agli US Open, quarti di finale.

In altre parole, una vittoria all’esordio in tutti quattro gli Slam, senza dimenticare il primo titolo nell’Atp 250 di Umago. Il primo di molti. Solo due anni fa Alcaraz era numero 566 in classifica. Un anno fa, 189. Oggi, a 18 anni e quattro mesi, ha solo 37 giocatori davanti a sé. Si parla tanto del suo talento, dei suoi colpi e del suo lavoro, ma tutto questo sarebbe vuoto se non fosse per la mentalità di Carlos: umiltà, ambizione e Dna vincente. La Spagna sa di avere per le mani un giocatore molto speciale, un gioiello che non sarà il nuovo Nadal, ma questo non è più un problema. Sarà il nuovo Carlos Alcaraz: un tesoro unico.