Sono passati oltre trent’anni da quell’indimenticabile terzo turno di Australian Open tra il nostro Omar Camporese e Boris Becker. Il racconto, con chiave di lettura tecnica, di chi lo seguì a bordo campo

Ogni volta la stessa solfa! Con l’arrivo di metà gennaio, quel che resta della memoria vaga d’istinto verso un Australian Open, edizione ’91, rimasto a ragion veduta negli highlights del torneo. Torna a un pomeriggio appena agli esordi in cui l’ozono australe lasciava libero accesso a un sole malamente incattivito con i tetti di Melbourne e il campo numero uno dell’allora Flinders Park. Tra righe roventi, tracciate su uno strato di Rebound Ace quasi immacolato, Omar Camporese e Boris Becker se le davano di santa ragione in nome di un terzo turno consumato nella prima settimana del major down under, davanti a una folla quasi tutta per il crucco. “ Mi raccomando – mi aveva detto Omar negli spogliatoi – mettetevi il più vicino possibile, voglio vedervi e sentirvi”. Con il mio squadrone junior, eravamo all’epilogo di una lunga trasferta andata liscia come l’olio giacché Navarra aveva stravinto il torneo giovanile di Sidney e di lì a poco Calvelli avrebbe fatto semifinale proprio nello slam del Victoria State. Così, pensando di essere depositari di beata sorte, avevo eseguito a puntino la consegna di Omar e con puntualità svizzera ci eravamo appollaiati appena a ridosso del bordo, in modo da spedire al nostro eroe incitamenti sonori e, perché no, fluidi benefici.

Il match aveva preso il largo nel più completo equilibrio, ingabbiato in punti risolutivi risolti di volta in volta in una manciata di scambi o poco più. Ritrosi a cedere il servizio, tra un vincente e l’altro i due avevano condotto il primo parziale verso un tie break in cui il nostro eroe aveva fallito un rovescio di troppo offrendo il fianco a un minibreak presto suggellato dal teutonico rivale per via di un dritto passante made in Germany. “ Omar daiiiiiiiiiii” urlavamo a squarciagola cercando di superare i cori pro Becker.

Da tempo, il dritto del bolognese aveva guadagnato il rispetto dell’intero circuito, così sembrò tutto scontato quando tramite quel colpo Omar aveva firmato l’incipit del secondo set infilando in corsa un Becker apparso pericolosamente a rete. Una risposta motoria che gli aveva guadagnato un prezioso break fornendo fiducia utile a spingersi 3-1 sopra. Non durò molto! Cogliendo al volo qualche gratuito di troppo, il numero due del mondo sparigliava il punteggio e iniziando un tiremmolla di altissimo livello portava anche il secondo alle porte del tie break. Quanto ne venne fuori era stato uno scorcio di gioco stupendo che Becker pensò di risolvere con un coraggioso chip and charge tirato fuori dal cilindro che lo spingeva due set avanti.

“Omar attento che sulla tua seconda ti viene avanti…”, avevo urlato più volte inutilmente, sovrastato dai tanti in delirio per il biondo di Leimen. “Master si fa dura…” mi dice d’un tratto Navarra storcendo un po’ la bocca. Non aveva torto il buon Mosè e vista la piega presa dai fatti, era lecito che anche il resto del gruppo coltivasse a quel punto qualche perplessità. Ma l’adrenalina gioca splendidi scherzi e con una serie di inside out entrati nei manuali del tennis, l’italiano chiudeva il terzo lasciando Becker a zero e scoraggiandolo al punto da strappargli anche il quarto con un secco 6/4. Nel quinto il match diede fuoco alle polveri! Ricorrendo a ripetuti chip and charge il gigante biondo tenne Omar sotto pressione costringendolo a ripetuti passanti di rovescio coronati da alterna fortuna. Un andazzo andato avanti fino a quel 12 pari del quinto quando con due prime e un ace Omar si issava ben presto a 40/0. Tre colpi in successione giunti su di noi come una ventata di ritrovata euforia. Non bastasse, anche il pubblico sembrò zittirsi dinanzi al valore di quell’emiliano doc col viso da bravo ragazzo che stava tenendo sotto scacco nientemeno che il grande Becker. Durò poco! Il tempo utile al tedesco di mettere a segno due vincenti e intascare un errore dell’italiano. Tutto pari dunque e dopo altre schermaglie l’immancabile chip and charge tornò a farsi vedere regalando al crucco un break che valeva oro.

Nel frattempo, il passaparola andava facendo il suo effetto e ondate di curiosi si erano riversate su quel campo secondario, in cerca di qualche strapuntino. Erano suonate le sette quando Boris Becker sceglieva due sfere utili a servire per il match. Nel silenzio più totale il game prendeva il via e nei tre punti successivi la prima palla non volle saperne di andare a segno! Il tedesco perdeva il primo e guadagnava il secondo mentre il terzo arrivava da una risposta sbagliata del bolognese. Quindi si concesse il lusso di un ace di seconda e sul 40/15 di colpo divenne inespressivo. Prese tempo, si raccolse intorno a se stesso e sbatté la palla più volte sul terreno. Quindi guardò avanti senza vedere nulla e con gesto sicuro mosse una mano verso il cielo liberando una palla che la mano opposta raggiunse a velocità sostenuta esplodendo una prima esterna che lasciava fermo Omar Camporese. Gioco, partita incontro, il sogno si era infranto. Seppure di misura, l’eroe del nostro tennis aveva ceduto le armi!

Eravamo senza voce e il trasporto era stato tale da ignorare i tormenti del solleone e delle mosche australiane. Entrando nello spogliatoio ero la copia sputata di un pollo arrosto e così combinato abbracciavo Omar congratulandomi per la prestazione. “Grazie, ma ho perso!”, replicava lui tra il triste e il contrariato. Come non capirlo?

Boris Becker avrebbe vinto il torneo, sarebbe diventato di lì a poco il primo giocatore al mondo e le cronache del tempo avrebbero riportato il match con Omar come l’unico vero ostacolo verso la vittoria. Solo alcuni ne individuarono la chiave. Pochi si accorsero di quei chip and charge maledetti con cui il tedesco aveva vinto per il rotto della cuffia e che il caro Omar certamente non avrebbe mai dimenticato.