Intervistato dal portale Clay, il funambolo kazako ha rilasciato dichiarazioni interessanti sul proprio modo di vedere il tennis. Dagli esordi, a Djokovic, alla nascita di suo figlio: un’analisi a tutto tondo.

Alexandar Bublik riesce sempre a far parlare di sé. Recentemente l’abbiamo visto perdere in finale a Metz, contro Sonego. Non ha giocato, ovviamente, un match normale. Quando gioca il kazako, la parola “normalità” è l’ultima che viene in mente per descrivere il suo tennis. Negli anni ci ha abituato a giocate rocambolesche, spesso inutili, con la volontà di intrattenere e stupire. Proprio nella finale contro Sonego, è arrivato a giocare uno smash con il manico della racchetta, per poi perdere il punto. Questo modo di fare è frutto di evidenti difficoltà nella gestione dell’incontro, e sembra quasi dire: “non sei tu che mi metti in difficoltà, ma io che ho deciso di perdere”. Qualcuno lo ha paragonato al giovane Kyrgios, che ammetteva di non avere alcuna voglia di giocare a tennis. In questa intervista, rilasciata al portale Clay, Bublik rilascia delle dichiarazioni non troppo distanti da quel modello australiano che solo recentemente sembra aver messo la testa a posto. Di recente, è nato il primo figlio del tennista, e questo ha inevitabilmente scosso i suoi equilibri, che in campo sembravano già prima abbastanza precari. Il kazako, comunque, sembra avere idee molto chiare sul perché gioca a tennis: suo padre l’ha obbligato, aveva già deciso che sarebbe diventato un tennista quando aveva solo due anni. Ha odiato il tennis per gran parte della sua carriera, e solo ora sta diventando più amico della racchetta. Alla domanda sui suoi modelli di tennis, ha risposto che non gli verrebbe mai in mente Djokovic se pensasse a un tennista “cool”, ma Gael Mofils e Grigor Dimitrov: “Gael è la definizione di cool. È calmo, gli piace giocare con il pubblico. Anche Dimitrov è così.”

Sulla nascita del figlio

Non voglio che mio figlio diventi un tennista. Mio padre mi ha dato una racchetta quando avevo solo due anni, e non mi ha mai neanche chiesto se mi piacesse.

– Come può non piacerti giocare su una superficie bella come la terra rossa? È per i calzini sporchi?

Semplicemente non mi piace. Ma ormai non mi importa. Mi piace giocare ovunque, mi diverto molto. Se il campo è in terra, è in terra. Ho cambiato il mio approccio in molti aspetti da quando è nato mio figlio. Alla fine è il mio lavoro, e devo farlo bene.

– In che modo è cambiata la tua vita?

Difficile da spiegare, voi avete figli?

– No.

Una volta che li avrete, non so come, dovrete solo girare pagina. Il momento in cui inizia a piangere, dovrete dimenticarvi di tutti gli altri problemi. Siete fuori. Tutto il resto va a farsi benedire. Questo è quello che accade.

– Come si chiama?

Vasily

– Perciò, Vasily ha cambiato la tua carriera.

Forse in un modo positivo, forse negativo. Vedremo. Sono papà solo da venti giorni. Da quando è nato, sinceramente, non mi importa più di nient’altro. Mi interessa solo di lui. Perciò se mi dici di giocare sulla terra, giocherò sulla terra, se sull’erba, giocherò sull’erba. Se devo giocare alle undici, giocherò a quell’ora. Non mi importa più molto del resto.

– Quali altri aspetti del tennis hai iniziato ad accettare, che prima non ti piacevano?

Devo solo dare il buon esempio, e divertirmi a fare quello che faccio.

– La vita del tennista è “cool”?

No.

– Perché?

Si viaggia.

– Ma un sacco di gente morirebbe per viaggiare quanto voi. Perché pensi sia qualcosa di negativo?

Ci sono un sacco di persone che sognano di avere acqua potabile, sai? Per cui non è che io non lo apprezzi. Semplicemente, non mi piace, ecco tutto.

– Cerchi di far diventare il tennis più “cool” con il tuo modo di giocare?

No. Non mi interessa. Gioco per me stesso. Ora per la mia famiglia. Se la gente apprezza, ancora meglio. Se no va bene lo stesso. Non mi cambia nulla.

– Ma tu sei il tipo di giocatore che esprime appieno il divertimento che prova nel giocare.

Sì, soprattutto ora. Ho iniziato a divertirmi molto durante il Roland Garros quest’anno. E da quel momento mi diverto molto a giocare a tennis. Alle undici del mattino con 40 gradi? Va bene!

– Cosa vorresti essere se non fossi un tennista?

Non lo so, perché mi piacerebbe essere tante cose ma se non fossi un tennista non guadagnerei tutti i soldi che guadagno, e non sarei così libero. Ma se mi dici che potrei avere tutti i soldi che voglio mi piacerebbe aiutare le generazioni future, non solo di tennisti. Dare l’opportunità ai bambini di avere accesso allo sport, aiutare le persone, avere una fondazione. Non mi è stata mai data la possibilità di non essere un tennista.

– Mai?

No, non ho mai avuto altre opzioni. Mio padre mi ha detto di giocare, io ho giocato. Mia madre lo appoggiava in questo.

– Quanti anni avevi quando ti ha detto di giocare?

Due anni, probabilmente. Non mi ricordo. Non è stata mai sollevata la questione della mia volontà in merito. Nella mia famiglia funzionava così. Non credo fosse stata pensata come una possibilità.

– Perché tuo padre aveva questa attitudine? Era un fan del tennis che voleva un figlio tennista?

È una buona attitudine. Se vuoi che i tuoi figli crescano bene devi curarti di loro, devi dirgli cosa fare.

– Faresti lo stesso con Vasily?

Non voglio che diventi un tennista.

– Ma mettiamo che tu voglia che diventi un astronauta, un economista…Gli diresti di fare quello che vuoi tu?

Se in quello che dico c’è del bene, sì. Perché è un bambino. Non ha nessuna idea né preoccupazione. Io ho 25 anni. Ora forse ho realizzato che sette anni fa ero molto stupido. E avevo 18 anni, giocavo già contro i primi 100 del mondo. Certamente devi dire ai tuoi figli cosa fare. Se gli lasci libertà vedrai che combinano.

– Stai prendendo sul serio le tue responsabilità di padre.

È necessario prendersi delle responsabilità. Alle persone questo non piace, vogliono dire che non è colpa loro. Prendersi responsabilità fa parte della vita.

– Hai apprezzato la vittoria di Elena Rybakina a Wimbledon? Avete entrambi una cosa in comune: siete nati in Russia ma rappresentate il Kazakistan.

Sì, certo. La vittoria di Elena è qualcosa di grandioso per il paese, considerando cosa ha dovuto attraversare la nostra federazione. Gli investimenti hanno ripagato, e stanno ripagando gli sforzi da molti anni prima che io giocassi, da quando gioca Mikhail Kukushkin. Elena è solo la ciliegina sulla torta. Sono orgoglioso della Federazione perché so il lavoro che hanno fatto. Quanto hanno aiutato i giocatori, quanto hanno aiutato me. È un grande risultato.

– Federer, Nadal, Djokovic…Chi è più “cool”?

Siamo onesti, non ho passato così tanto tempo con Roger, neanche con Rafa. Per me, quindi, il più “cool” è Novak.

– Quindi, poco tempo con Federer?

Esatto. Quando sono arrivato era già sulla via del ritiro, non giocava molto. Con Novak abbiamo parlato molto dall’inizio del Covid. Non direi che è “cool”, ha 35 anni, non si può essere “cool” a 35 anni e con due figli. È un brav’uomo, tennista e padre orgoglioso, è un grande di questo sport.

– E oltre ai big 3, se dovessi menzionare un paio di tennisti “cool”, chi sceglieresti?

Monflis e Dimitrov. Con loro due mi trovo molto bene.

– Cosa intendi per “cool”?

Gael. Gael è la definizione della parola. È tranquillo, gli piace giocare con il pubblico.

– È vero che tu e Alexander Zverev avete avuto uno scontro quando eravate juniores?

Sì.

– Che è successo?

Non dirò la storia. Si tratta del passato. Abbiamo avuto uno scontro, ma non andiamo nei dettagli.

– Almeno puoi dirci chi ha vinto?

Siamo entrambi vivi, quindi è andata bene per tutti.

– Quindi non è stato così terribile.

Non penso che dovremmo parlare del passato.

– Sei un tipo festaiolo?

Lo ero

– Cosa ti ha fatto cambiare? La famiglia?

Prima di conoscere mia moglie, ero molto festaiolo. Non è carino comportarsi così quando si è in una relazione, no?

– Non ne sono sicuro.

Devi essere fedele, prenderti cura della persona con cui stai.

– Qual è il tuo sogno nel tennis?

Non credo sia un sogno, ma un obiettivo. Perché i sogni sono cose che non puoi raggiungere. Il mio obiettivo è restare in forma e giocare a lungo. Se riuscirò a essere nella top 30, top 40 fino alla fine della mia carriera, tra 10 o 15 anni posso dire che è stata una buona carriera.