Fabio ha chiuso l’avventura australiana dando quello che poteva contro il numero 2 del mondo, e certe giocate avrebbero meritato il pubblico. Ma ora che Nadal ha deciso di sfruttare a pieno tutto il suo talento, inserendo variazioni sulla consueta solidità da fondo, per batterlo bisogna batterlo… sul tempo
Fabio recuperato dopo l’operazione alle caviglie
I match tra Fognini e Nadal sono istantanee che non riservano incognite. Confronti tra una genia capace di estrarre dal cilindro conigli e colombe a profusione, opposta a una costante cocciutaggine, poco incline ai giochi di prestigio, più votata invece a schemi replicati alla perfezione e difficili da scompigliare. Il loro testa a testa non offre il fianco a dubbi: 13 a 4 a favore della tenacia, a dimostrazione che il tennis moderno richiede continuità prima che estro, anche se il pubblico sembra pensarla diversamente.
Ma stamane il pubblico a Melbourne era assente e quando a metà del secondo set lo spagnolo ha recuperato una stop volley del ligure superandolo con un gancetto lobbato, i due avrebbero meritato assai di più che lo sbiadito applauso virtuale ideato dagli organizzatori per mettere una toppa alla depressione del vuoto assoluto. Per il resto è stato un match in discesa, che lo spagnolo ha portato a casa con l’inquietudine di chi conosce bene Fognini e la sua capacità di ribaltare situazioni seppure compromesse. Uno splendido Fognini, aggiungo, tornato finalmente a miglior tennis dopo l’operazione alle caviglie. Con Nadal i punti vanno chiusi entro i primi tre, quattro scambi, limite oltre il quale aumentano in modo esponenziale le capacità di Rafa di uscirne vincente. Fabio ha tentato in ogni modo di farlo, riuscendoci tuttavia solo a tratti.
Discorso, quello degli scambi a oltranza, che per Nadal sembra, comunque, definitivamente archiviato dopo che, da un paio d’anni in qua, ha lasciato spazio a un bagaglio tecnico assai più vario e risolutivo rispetto al pregresso.
Un Rafa a tutto campo
Non mi nasconderò dietro a un dito negando di aver criticato in passato il suo entourage per la scelta ostinata di un gioco troppo dispendioso, che non premiava un talento così spiccato, privandolo di variazioni importanti all’arido tema della continuità, e costringendolo a qualche sfacchinata di troppo.
Così come mi piace riconoscere che il maiorchino si è consegnato finalmente a un gioco a tutto campo che lo vede vincente in tante situazioni di minor durata, risolte per via di un ottimo gioco al volo, un uso ricorrente della palla corta e una frustata di servizio che per lunghi anni gli ha fatto difetto. Non solo: a Melbourne scopriamo che anche nella risposta ha guadagnato qualche metro prezioso ponendosi al comando del gioco fin da subito senza metterla sempre sul piano della lotta. Riflessioni che immagino essere farina del suo sacco, maturate a fronte di un tennis che non pagava più, soprattutto alla luce di un’età non più tanto verde. Insomma quanto era necessario per risparmiare sul chilometraggio e mietere punti meno faticosi!
Dunque si è completata una splendida metamorfosi, ora si tratta di mostrarla al mondo senza ripensamenti. Tutta roba che già era in lui. L’avesse tirata fuori prima avrebbe vinto di più e si sarebbe scassato di meno. Ma come si dice: meglio tardi che mai.