Matteo Berrettini, ospite a casa Illumia, ha parlato di tutti gli argomenti più caldi del momento: dalle Davis Cup Finals che stanno per iniziare alla rivalità tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz

Illumia è il nuovo sponsor di Matteo Berrettini, iniziata dopo un rapido corteggiamento e una sintonia immediata, anche sui valori comuni. Con poco meno di 200 dipendenti e con un’età media di 33 anni, Illumia è il primo family business nel mercato retail di energia e gas. Una realtà giovane e coraggiosa di Bologna che con determinazione e intraprendenza sfida i colossi del mercato posizionandosi tra i player energetici più audaci del territorio nazionale. Con lo stesso coraggio e determinazione che Matteo Berrettini sfodera in campo, gara dopo gara, e con la sua stessa capacità di unire professionalità e amore per le radici.

«Devo tanto ai miei genitori, innanzitutto perché mi hanno messo al mondo – ha spiegato ieri in un incontro nello show room bolognese di Illumia, all’antivigila di Italia-Croazia di Coppa Davis – poi perché sono sempre stati al mio fianco. Famiglia e sport, i mie ricordi sono sempre stati questi, in un circolo tennis ci sono praticamente nato. Da adolescente magari ci sono stati momenti in cui non andava tutto bene, per colpa mia, è tipico degli adolescenti. Ma quei momenti servono anche a crescere».

Il 2022 di Matteo finora non è stato un anno facile, anche se non sono mancati i successi, specie quelli sull’erba a Stoccarda e al Queen’s. Una vittoria con l’Italia in Coppa Davis potrebbe però cambiarne il senso. Renderlo speciale. Fra l’altro Matteo non ha mai giocato con la maglia azzurra in casa: dopo il debutto in India sono arrivati la pandemia, il cambio di formato della manifestazione, gli infortuni che ad esempio lo hanno tenuto fuori l’anno scorso a Torino. «Sarà la mia prima volta in casa – ha detto ieri un Matteo particolarmente brillante, ironico e autoironico, ospite del suo nuovo sponsor Illumia in un incontro aperto anche alla stampa –, quindi è un’emozione forte. Davvero un successo potrebbe cambiare le sorti dell’annata. Siamo un bel gruppo, unito, competitivo. Non abbiamo giocato tante partite, e praticamente mai insieme, ma vogliamo arrivare fino in fondo. Di ritorno da New York sono passato per Milano ad applaudire l’italbasket, ai ragazzi ho detto che volevo trasferire un po’ della loro energia positiva anche in Coppa Davis».

Matteo ha parlato anche di come è cresciuto nel corso degli anni, dal ragazzino che sognava di fare il tennista a top 10 e finalista a Wimbledon. «Da piccolo mi lamentavo sempre, il mio coach Vincenzo Santopadre mi chiamava «radiolina». Poi ho capito che vuoi vincere devi pensare a fare il punto successivo, non a lamentarti per quello che hai appena giocato, e da allora sono cambiato». Decisamente in meglio.

Nel suo percorso fatto di tanti rapporti consolidati negli anni è molto importante anche il ruolo di Stefano Massari, suo mental coach da sempre. «All’inizio si parlava più in generale di come far andare insieme scuola e sport, di come rapportarsi ai genitori. Ora ci sentiamo prima di ogni partita, lui mi chiede che cosa mi preoccupa di più e insieme ne discutiamo».

Quello di Matteo è un tennis aggressivo, per istinto e per calcolo: «Anche noi tennisti guardiamo le cifre, dobbiamo fare quadrare i blianci, e analizzando le statistiche ho capito che io faccio punto più spesso se attacco, se cerco il punto, invece di ributtarla di là sperando che l’altro sbagli».

La partita che fino ad ora considera più importante «è la semifinale di Wimbledon dell’anno scorso, credo di aver dato il meglio. Vorrei tanto dire la finale: ma quella l’ho persa, quindi… L’avversario che mi piace più incontrare? Facile: tutti quelli che batto! Se parliamo di allenamenti invece mi piace dividere il campo con Sinner e Sonego, perché c’è un rapporto professionale ma anche di amicizia».

L’idolo di sempre è Federer («l’ho sempre tifato, inutile nasconderlo»), le bestie nere Djokovic e Nadal: «Con loro non l’ho mai spuntata. Rafa ti fa pensare: ‘be’, se gioco bene posso batterlo’. Però poi vince sempre lui. Novak ti dà l’impressione di studiarti in continuazione, in attesa di trovare la chiave, il punto dove colpirti. Poi è un grande ribattitore, quindi si trova bene con uno che serve forte come me».

Ma nel tennis cosa conta di più: la mente, il corpo, la tecnica, la tattica? «Domanda difficile. Posso dire che tutte valgono il 25 per cento?… A parte gli scherzi, se non hai una bona tecnica non arrivi in alto, però a volte se sei forte mentalmente puoi supplire a delle lacune. E se sei preparato bene fisicamente riesci a nascondere qualche difetto, arrivi meglio sulla palla e i colpi sembrano più forte di quello che sono. La tattica è importante, ma fino a un certo punto in uno sport nel quale devi pensare molto velocemente, prendere decisioni in un secondo e ti affidi spesso all’istinto. Quindi direi che la mente e il fisico contano più di tutto. Anche se è chiaro che senza il servizio che mi ritrovo non sarei qui…».

Con il tifo contro, che in Davis è pane quotidiano, ha un rapporto sereno: «Ci sta, è lecito. Domani non credo che la Croazia se la passerà facilmente da qual punto di vista, ma va bene. E quando capita a me di solito mi carico di più, mi dico che devo fargliela vedere a tutti. Un’altra cosa sono le scorrettezze vere, e quelle non devono esistere. Come gli haters sul web».

Alcaraz e Sinner sono i tennisti del momento, qualcuno, un po’ ingenuamente, gli chiede come pensa di «infilarsi» fra i due: «Jannik e Carlos sono due grandi giocatori, e di Carlos mi colpisce subito la velocità con cui si è ripreso dopo un estate in cui aveva iniziato a sentire la pressione. Ma io non punto ad «infilarmi»: credo di stare già lì, insieme a loro».

A New York per la prima volta è stato permesso ai coach di parlare ai giocatori durante la partita. Berrettini non pensa che sia una rivoluzione: «a me piace anche starmene nel mio quando gioco, un consiglio ogni tanto va bene. Più che altro evita le multe, anche salate, che ho preso in passato. A New York nel 2019 durante il quarto di finale con Monfils ad esempio sentii l’arbitro che mi mi ammoniva proprio per coaching, ma io ero di spalle e non mi ero neppure accorto che Vincenzo mi stava parlando. Gli ho detto che la prossima volta almeno si assicurasse che lo stessi a sentire…».

Per chiudere, gli obiettivi: del giocatore ma anche dell’uomo. «Arrivare alle Finals è difficile, ma non impossibile, proverò a fare il possibile perchè il ritiro dell’anno scorso (dopo il primo set del primo match con Zverev, ndr) è stata una delle delusioni peggiori della mia carriera, mentre arrivare fra i primi 8 era stata una delle più grandi soddisfazioni. Poi certo vorrei vincere uno Slam, visto che non ci sono poi così lontano, o un torneo Masters 1000, e migliorare la mia miglior classifica. Ma ne ho parlato con il mio team e voglio anche pensare a godermi il percorso, oltre che pensare al traguardo».