Un tempo l’Australian Open era lo Slam nemico dei giocatori italiani, poi le cose sono cambiate. Rimane il solo Major nel quale gli azzurri non sono mai andati oltre i quarti, ma in termini di quantità è stato il più prolifico dell’ultimo decennio. Ora, con Sinner e Berrettini, si può puntare all’exploit che è sempre mancato. Un record per Melbourne i 14 italiani in gara nei due tabelloni di singolare
Per l’Italia maschile è lo Slam più prolifico dal 2013 in poi
C’era una volta la trasferta in Australia: lunga, complicata, molto costosa e in un periodo dell’anno tale che tanti dei migliori tennisti europei (e non solo) preferivano dedicarsi ad altro, piuttosto che passare due giorni in viaggio per quello che è stato a lungo la gamba zoppa dello Slam. Nel tennis di oggi la scelta avrebbe dell’assurdo, ma al tempo era normale e se ci rinunciava Bjorn Borg potevano farlo tutti. È il motivo per cui i nostri quattro moschettieri degli Anni ’70 di presenze a Melbourne ne hanno collezionata una in quattro, con un Adriano Panatta ancora diciannovenne nel 1969, e peraltro maltrattato al primo turno da un Terry Addison qualsiasi. Barazzutti, invece, in Australia non ci è mai andato, così come Bertolucci e Zugarelli, ed è questo uno dei motivi per i quali lo Slam di Melbourne è stato a lungo il meno amato dai nostri giocatori, che fra assenze e risultati così così hanno sempre faticato a raccogliere soddisfazioni nella terra dei canguri, che peraltro ha visto la nostra nazionale perdere anche tre finali di Coppa Davis (1960, 1961 e 1977). Tuttavia, da quando quello di Melbourne è diventato l’Happy Slam, al pari degli altri e forse il migliore nel coccolare i giocatori, alla remunerativa trasferta down under non rinuncia più nessuno, e anche l’Italia ha iniziato a vincere sul cemento blu in riva al fiume Yarra. Tanto che, in termini di piazzamenti alla seconda settimana nel torneo maschile, dal 2013 in avanti l’Australian Open è diventato addirittura lo Slam più prolifico per i colori azzurri.
Va precisato che rimane l’unico Major nel quale nessun tennista italiano (donne comprese) è riuscito ad andare oltre i quarti di finale, conquistati da Giorgio De Stefani nel 1935, da Nicola Pietrangeli nel 1957 e dal solo Cristiano Caratti nell’Era Open, nel 1991. Ma anche da Adriana Serra Zanetti (2002), Francesca Schiavone (2011), Sara Errani (2012) e Flavia Pennetta (2014). Tuttavia, nell’ultimo decennio sono arrivati per quattro volte agli ottavi sia Andreas Seppi, che nel 2015 dopo aver battuto Roger Federer si spinse a un solo punto dai quarti di finale (si arrese a Nick Kyrgios per 8-6 al quinto), sia Fabio Fognini. Fa strano riportarlo, eppure il ligure ha trovato nel torneo australiano un alleato ancora migliore rispetto al suo amato Roland Garros, dove per anni è partito con grandi ambizioni, ma oltre ai quarti del 2011 ha saputo arrivare alla seconda settimana soltanto in altre due occasioni. Un ottavo a Melbourne anche per Matteo Berrettini, nella passata stagione, quando dopo aver battuto Karen Khachanov con tre tie-break dovette rinunciare al duello contro Stefanos Tsitsipas, a causa di uno stiramento addominale. Doveroso anche sottolineare il titolo juniores di Lorenzo Musetti nel 2019, o il successo in doppio di Fabio Fognini e Simone Bolelli nel 2015, seguito alla doppietta (2013, 2014) delle “Chichis” Errani/Vinci.
Sinner e Berrettini per il primo exploit a Melbourne Park
Superata la storica avversione per l’Australian Open, merito anche del fatto che le nostre nuove generazioni di giocatori non siano più così ancorate alla terra battuta come succedeva un tempo, ora il terreno sembra fertile per provare anche a Melbourne a centrare quell’exploit che è arrivato a Wimbledon e New York con Berrettini, o a Parigi con Cecchinato, ma mai in Australia. I due indiziati per riuscirci già da quest’anno non possono che essere lo stesso Berrettini e Jannik Sinner, o in ordine inverso secondo le preferenze dei principali bookmakers di tutto il mondo, che addirittura offrono all’altoatesino il ruolo di quinto favorito per il successo finale – anzi quarto dopo il forzato ritiro del numero 1 del mondo – a una quota attorno al 30. Davanti a lui solamente Medvedev, Zverev e Nadal, il che la dice lunga sulla considerazione che l’allievo di Riccardo Piatti può vantare a livello internazionale. In parte ha influito anche il sorteggio del tabellone, visto che Jannik – che al primo turno sfiderà un giocatore proveniente dalle qualificazioni – è capitato sia nell’ottavo più debole (quello di Casper Ruud) sia nel quarto di Stefanos Tsitsipas, arrivato addirittura a mettere in dubbio la propria partecipazione a causa dello stesso problema al gomito che si porta appresso da un po’. Ecco dunque che pensare Sinner capace di una semifinale non è poi così esagerato, anche se gli avversari da battere sono molti e le incognite pure. Ma sul duro, con uno Tsitsipas non al top, il più forte dell’intera sezione è proprio lui.
Berrettini, invece, secondo i bookmakers è appena alle spalle di Jannik, sfavorito dal fatto che (originariamente) era finito nel quarto di Novak Djokovic, come già nel 2021 sia a New York sia a Parigi. Da sottolineare che il ritiro del fuoriclasse serbo ha promosso in tabellone il lucky loser Salvatore Crauso, che così porta a 10 gli italiani in gara nel maschile e a 14 il totale considerate le quattro azzurre nel maschile (Giorgi e Paolini di diritto, Trevisan e Bronzetti attraverso le qualificazioni). Come accennato in precedenza, Matteo con Melbourne ha un conto aperto dopo il ritiro di dodici mesi fa, quando era in formissima ma fu costretto a fermarsi per ragioni fisiche. Ne deriva che l’Australian Open è l’unico Slam nel quale il 25enne romano non è mai riuscito ad andare oltre gli ottavi di finale, ma vista la continuità che ha mostrato nei Major si tratta di un dato che non durerà in eterno. Matteo può migliorarsi già quest’anno, partendo dalla sfida di primo turno con lo statunitense Brandon Nakashima, uno dei migliori Next Gen al mondo. Poteva andare meglio, e non fa piacere nemmeno la potenziale sfida al terzo turno con Carlos Alcaraz, ma la dimensione raggiunta da Berrettini dice che non è lui quello ad aver pescato male. Ha tutto per puntare molto in alto, e per sfatare definitivamente il mito secondo cui Australia e Italia non vanno d’accordo.