Dopo aver passato brillantemente i propri incontri di secondo turno, Alexander Zverev e Andrey Rublev denunciano e fanno venire a galla grandi incongruenze nei protocolli sanitari: la questione è interessante, soprattutto dopo ciò che è accaduto a Novak Djokovic

L’Australia è una delle nazioni più rigide in termini di risposta alla pandemia da Coronavirus, almeno così ci sembra. Nella pratica, tuttavia, le incongruenze sono svariate nei protocolli e sono state messe più volte in luce dai giocatori. Già nelle qualificazioni, Bernard Tomic aveva denunciato la mancata effettuazione dei tamponi da parte degli organizzatori del torneo: l’australiano, non sentitosi bene in campo, è poi, non a caso, risultato positivo al Covid-19 qualche giorno dopo. Stessa cosa è capitata ad Ugo Humbert, risultato positivo dopo la sua sconfitta al primo turno con Richard Gasquet.

Queste imperfezioni di protocollo sono state oggetto delle parole, tra gli altri, di Alexander Zverev, il quale ha criticato, senza peli sulla lingua, l’organizzazione del primo Slam dell’anno, rea di non sottoporre i tennisti ai test per diagnosticare il Covid-19. “Non effettuano i tamponi a noi giocatori, in più non c’è nessuna regola che vieti ai tennisti di andare a mangiare fuori. Secondo me, il virus sta circolando tra alcuni tennisti, alcuni sono positivi al Covid. Io, personalmente, mi sono messo volontariamente in bolla: non vado da nessuna parte, sono sempre in campo o in hotel. Non mi voglio assumere alcun rischio, voglio arrivare in fondo al torneo e dare il 100%”.

Al contrario, Stefanos Tsitsipas, a cui è stato chiesto un parere sulla vicenda relativa ai temponi, ha ritenuto che non sia un dovere dell’organizzazione quello di testare gli atleti:È responsabilità di ognuno di noi – ha dichiarato il semifinalista in carica degli Australian Open – sottoporsi ai test regolarmente per verificare se siamo o meno positivi. Io, ad esempio, provo quasi giornalmente con i tamponi antigenici rapidi, i quali mi permettono di adempiere ai miei doveri morali e di avere rassicurazioni riguardo il mio stato di salute”.

Ma non è tutto. Recentemente, Andrey Rublev ha comunicato che gli hanno permesso di entrare in Australia anche se positivo al Covid-19. Quando sono arrivato ero ancora positivo, ma la Border Force non ha fatto una piega. La mia carica virale era bassissima, dunque non mi ritenevo pericoloso e, in ogni caso, mi sono sottoposto a dieci giorni di quarantena appena sono giunto a Melbourne. Dopo, però, nessuno mi ha effettuato un tampone molecolare, bensì solo un test anticorpale: questo non prova che io sia effettivamente negativo“.

Tutta questa vicenda è curiosa, soprattutto alla luce di quanto accaduto a Novak Djokovic e al suo visto. Ma andiamo più nel dettaglio: Rublev ha evaso le regole al momento del suo arrivo? A quanto pare no. Infatti, secondo i protocolli attualmente in vigore, si può varcare i confini se positivi. Per farlo, è necessario mostrare il test positivo (effettuato entro i tre giorni precedenti alla partenza) e un certificato medico che dimostri la poca contagiosità del viaggiatore e la non presenza di sintomi ricollegabili al coronavirus. Sicuramente non è facile esprimere un giudizio sulla vicenda: le regole sono regole ed è giusto che vengano rispettate. D’altro canto, è inevitabile rivalutare la durezza del trattamento riservato a Novak Djokovic di fronte a questi regolamenti così permissivi.