Il nono centro nella ‘sua’ Melbourne colto dopo un grande torneo e una finale capolavoro, dove ha dimostrato di saper usare la fantasia oltre alle alle sue solite solidissime geometrie. E con il 18° Slam rilancia un vecchio dibattito…
Adrenalina da Slam
Si può vincere tante volte uno stesso slam? Pare proprio di sì. Ne sono convinti Nadal, Federer e ora anche Djokovic. Trattasi di imprese titaniche, rese possibili da fuoriclasse inarrivabili che una stupenda follia rende freschi e brillanti lì dove gli altri giungono col fiatone. Oggi in campo si è visto un solo giocatore e la narrazione è tutta per lui. Per quel campione ancora troppo importante anche per un esponente di spicco di quella che ostinatamente continuiamo a definire Next Gen. E se gli ultimi quattro confronti tra Medvedev e Djokovic rivelano un 3 a 2 per il russo, alla prova dei fatti il serbo ha saputo liberare la nobile adrenalina richiesta dai major, diversa da quella messa in circolo in un qualsiasi altro torneo.
Tutto accade nei dintorni di una sfera celebrale che non ci è dato scrutare se non per sommi capi! Un’area sconosciuta in cui tutto torna, si ripete e rivive in grandi prestazioni corticali esibite dai campioni inesauribili capaci di replicarsi all’infinito. Un controllo emotivo che nel caso di Djokovic è anche frutto di duri dualismi per via dei quali negli ultimi tre lustri si è stressato l’anima a suon di sorpassi, uscendone ogni volta più forte che mai.
Non solo: a questo punto potrebbe apertamente dichiararsi aspirante senza macchia al titolo di più ‘grande di sempre’ e chissà che, in tema di sorpassi, nell’anno in corso non si verifichi proprio il più clamoroso, quello superblasonato degli slam in bacheca.
Quel magico Serve & Volley
Un match esemplare, quello appena vinto a Melbourne, un ammaliante giro di valzer condotto sulla pista della Rod Laver Arena, danzato al ritmo di colpi zampillanti tecnica, tattica e travolgente passione. Una missiva spedita al mondo della racchetta diviso tra chi lo ama incondizionatamente e chi invece lo avversa dandogli del presuntuoso. Fossi in lui, sulla questione metterei una pietra sopra pensando che trattasi di destino, quello che attiene da vicino a chi possiede personalità in esubero. Come tennista ci ha abituati a vittorie figlie del pensiero razionale e anche il match odierno è stato un frullato di pensieri tradotti in traiettorie ogni volta pensate e trasformate in logiche geometrie. E di lui, ai posteri rimarrà proprio la rara capacità di leggere i punti e quel suo modo unico di uscire dal 30 pari come inseguito e non da inseguitore.
Una concezione da elevare a giurisprudenza nelle regole del tennis bene interpretato. In questa nona vittoria nella terra dei canguri, abbiamo assistito a una nuova ricerca di se stesso, alla luce di un gioco senza grinze espresso in una galleria di colpi tutti anima e corpo, incorniciati in un quadro stupendo nel quale Medvedev ha potuto inserire soltanto pennellate di vago astrattismo.
Quel serve&volley sul 4-2 del quarto set, coronato da una volée vincente di rovescio racconta di un campione poliedrico, capace di uscire dalla sua razionalità per andare a soluzioni stupende e a tratti fantasiose da ogni parte del campo. Non bastasse, qualche punto più tardi ha mostrato che i punti non si contano, ma si pesano, riportando uno scambio furibondo da far tremare i polsi.
Saranno i campi, il pubblico, l’aria che respira. Saranno financo la pioggia o le nubi, sta di fatto che in quel Melbourne Park qualcosa per il serbo fa la differenza con il resto del mondo. E come Nadal a Parigi e Federer a Londra, anche per lui quei campi hanno un certo non so che di impercettibile che su noi mortali passa e fugge via mentre su di lui ha l’effetto che conosciamo.