Dalla semifinale in Australia Aslan Karatsev ha vissuto di alti e bassi. Ci si chiede se l’etichetta di “talento puro” abbia una ragione d’essere, ma data l’inclinazione alla creatività, qualche lungaggine nel registrare il gioco va messa in conto

Di lui sappiamo che ha fatto semi a Melbourne tritando diversi record. Poi ci è giunta notizia che abbia vinto Dubai sul cemento e che non più tardi di qualche giorno fa, abbia tentato il colpaccio sulla terra di Belgrado. Quanto basta per avergli dato dello Swooshman’ in tempi non sospetti, alludendo a quella sua capacità di impattare la palla col suono del vento. E fin qui non ci piove!

Ma siccome non va sempre tutto liscio, sappiamo anche che l’estetica talora paga dazio, soprattutto se si esprime per via di un gioco a tutta birra che rasenta, con fare azzardato, nastro e righe a profusione. Cosicché nella recente carriera di Aslan Karatsev c’è qualche onorevole secondo turno andato a male che una lettura superficiale potrebbe indurre a vedere in lui un soggetto poco incline al risultato e più tagliato a lasciare lungo la strada qualche occasione di troppo.

Dunque si tratta di capire se l’etichetta di talento puro gli sia stata appiccicata addosso sull’onda della pura emotività o se invece abbia una sua ragion d’essere al cospetto di un giocatore che, pur non disdegnando exploit che fanno tanto bene al cuore, è alla ricerca di una continuità che a tutt’oggi non è ancora dato vedere.

Per dipanare il dubbio, spazzerei via qualche nube dicendo che il secondo turno perso di misura contro Thiem a Doha e quello contro Tsitsipas a Montecarlo sarebbero state prove ardue da superare a prescindere. Rimarrebbe quello perso contro Korda a Miami che suona come un peccatuccio veniale e quello di oggi contro un Bublik in forte ascesa, andato a male sul campo luci e ombre della Caja Magica per la poca reazione dimostrata.

All’indomani dell’Australia Open l’avevo definito talento cristallino e tale lo considero oggi alla vigilia di Roma.

Il tennis del russo è talmente difficile da architettare che richiederà comunque un certo agio per la sua messa a punto. Fosse un giocatore corri e tira sarebbe già bello che maturo mentre trattandosi di un tennista più favorevole alla creatività che non alla cruda gestione è normale che registri qualche lungaggine nell’abilità di far quadrare i conti. Sono, tuttavia, ottimista sul fatto che, stringendo una vite qua un’altra là, ben presto potremmo vederlo sbocciare a buonissimi livelli.

Una distinzione che suona come linea di demarcazione tra lui e i tanti colleghi di lavoro che vivacchiano inseguendo un tennis malmenato e povero di variazioni.

Certo, l’aria di andare per vetrine che si trascina dietro nelle pause di gioco ha bisogno di modifiche immediate, stimolando in lui segnali di reazione più marcati che lo tirerebbero via da quell’ambio mono espressivo di cui al momento sembra non voler fare a meno.

Tolto questo, e non è poco, i presupposti per salire ci sarebbero tutti e l’epiteto di Swooshman non mi sembra per nulla usurpato o dato a caso.