Alexander Zverev, dopo aver vissuto due annate non molto esaltanti, è tornato con forza a conquistare i titoli più importanti del circuito, tra cui due Masters 1000 e l’oro olimpico. Cosa gli manca per puntare alla prima posizione mondiale?

Stando ai risultati, la verde carriera di Alexandre Zverev somiglierebbe più a quella di un giocatore consumato felicemente pago del suo operato che non a un tennista giovane appena uscito dal novero dei Next Gen. Sorprende, dunque, che 17 successi e nove finali siano il provvisorio bottino di un giovane di 24 anni in forte ascesa a cui la precocità non ha fatto difetto. E fa ancora più scalpore che, in tempi di Fab Four, tra i trionfi di questo ragazzo, figurino ben 5 Masters 1000, un titolo alle ATP finals e un oro olimpico appena maturato sul cemento di Tokyo. Insomma, parliamo di risultati non casuali e di grande spessore, ottenuti con tanto talento, tenacia da vendere e, come recita l’adagio, col sudore della fronte. Una precocità che ha presentato il conto, almeno ogni volta che il completamento fisico ha richiesto tempo per risistemare coordinazioni saltate a causa di centimetri presi qua e là, necessari a farne un giovanotto ben strutturato, slanciato a quasi due metri dal suolo.

Queste fasi sopraggiunte intorno al 2019 e parte del 2020, periodo in cui il bel Sacha svolazzava troppo col diritto ed era entrato in pieno conflitto col servizio. Nonostante ciò, ha tenuto botta e, pur navigando tra qualche critica di troppo, ha tenuto dritta la barra tornando ad essere il giocatore visto nel 2017 e 2018. Nell’anno in corso, ha messo la freccia e ora procede in corsia di sorpasso con 5 tornei all’attivo, che ne fanno uno degli uomini da battere ai prossimi US Open. Anche la finale di Cincinnati contro Rublev, durata la miseria di un’ora scarsa, ha parlato di un giocatore di maturate certezze in grado di cogliere qualsiasi risultato.

A questo punto, il tedesco deve compiere un rito puntando a uno slam, in perfetto antagonismo con Djokovic, Medvedev e Tsitsipas. Per farlo dovrebbe completarsi ulteriormente, magari gettandosi anima e corpo nell’osservazione di vecchi filmati, quelli che ritraggono Aaron Krickstein e André Agassi al loro apogeo, tanto per scoprire che, nella diversità, i due hanno qualcosa in comune: parlo del diritto e rovescio impattati ad altezza spalle. Una paranoia che ha oppresso, oltre ogni misura, Nick Bollettieri, il quale concepiva giocatori di grande pressione costruiti sulla base di una gestualità alare. Una roba che si ottiene entrando nei rimbalzi, al fine di comprimerli mezzo metro più in alto, di togliere tempo all’avversario, aprire di più gli angoli e guadagnare la rete in controtempo. Oggi il ragazzo di Amburgo ha ritrovato il servizio e un buon diritto, sebbene sia suscettibile di ulteriore miglioramento. Se avrà il coraggio di far suoi i consigli del vecchio Nick, farà un grande salto in avanti e lancerebbe seriamente un OPA sulla prima poltrona mondiale.