Guardavo il nuovo Roland Garros, nei giorni scorsi, e mi chiedevo se a Gianni sarebbe piaciuto. Così moderno, elegante, roba da archistar. Ma un po’ senz’anima, una magnifica pennellata su una storia che ormai si avvia ai cent’anni. La storia che ci avevano messo dentro i quattro Moschettieri, e la Divina Lenglen, la ‘sua’ Lenglen. Gianni Clerici adesso non c’è più, ha aspettato la fine del Roland Garros e ha salutato con la leggerezza dei grandi, a 91 anni, lasciandoci tutti orfani. La questione su chi sia il più grande tennista di tutti i tempi – lui avrebbe detto Tilden, o Laver, ma ben sapendo che in fondo importa poco – resterà sempre aperta.
Non c’è dubbio invece che il Più Grande, fra i giornalisti di tennis, sia stato lui, ex ottima prima categoria da giovane, compagno di campo e di avventure di Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola, poi debuttante a 18 anni proprio sul nostro «Il Tennis Italiano», giovane cronista alla Gazzetta dello Sport, dove lo volle un altro grande Gianni, Brera, ma soprattutto al Giorno di Italo Pietra – in una redazione di soli fuoriclasse come lui, lo stesso Brera, Mario Fossati, Giulio Signori – e poi alla Repubblica. Gianni ha avuto la bontà di essermi amico, oltre che maestro e collega quindi mi perdonerete la prima persona, ma mi è impossibile tenere il tono freddo, da cronista, che del resto neppure lui amava. E quando gli toccava, per mancanza di spazio sul giornale, si è inventato l’agenzia ‘palle roventi’, benevola parodia di chi di un match sa trascrivere solo il risultato, senza capirne il contenuto. Gianni, per usare un luogo comune che aiuta in questi momenti, invece era uno scrittore prestato al giornalismo, ma che sapeva essere anche giornalista scafatissimo. Parlava con tutti perchè conosceva tutti, vedeva meglio di chiunque altro, conosceva per esperienza, raccontava come un romanziere. Il grande pubblico ha iniziato a conoscerlo come commentatore televisivo, a fianco di Rino Tommasi in una coppia inrripetibile, unica, ma noi tutti che proviamo a scrivere di tennis da sempre lo leggevamo, cercavamo di carpirne i segreti, di copiare la formula magica, fra letteratura, gusto per l’arte e la letteratura, vita vissuta, con cui distillava i suoi ‘pezzi’. Ha scritto libri fondamentali, come ‘500 anni di tennis’, la Bibbia per chiunque nel mondo voglia conoscere il tennis, una biografia della Lenglen, ‘La Divina’, che chiunque ami il tennis deve aver letto. E poi romanzi, piece teatrali, racconti, poesie – da Cuor di Gorilla a Quello del Tennis, che ne hanno allargato la dimensione a quella della letteratura senza generi e senza limiti. Ma sempre al tennis ritornava, alla sua collezione di opere d’arte in tema di cui oggi una parte è conservata alla Hall of Fame di Newport, lui unico italiano insieme a Nicola Pietrangeli ad essere ammesso nell’arca della gloria del nostro sport. Poi c’è il Gianni privato, quello dei tanti tornei coperti insieme, delle zingarate per musei e mostre, delle cene a Shangai o a Londra, dei musical di Broadway visti insieme, fuggendo da una noiosa sessione notturna agli Us Open. E’ stato un onore e una fortuna, Gianni, fare un pezzo di strada insieme, e grazie di tutto. Peccato non averti potuto chiedere se ti piaceva, il nuovo Roland Garros. Ma credo di sapere la risposta.