Compie quarant’anni la storica frase legata all’immagine di John McEnroe. La pronunciò contro il giudice di sedia al primo turno di Wimbledon, a seguito di una chiamata dubbia. “Incredibile – dice lui – che a quarant’anni di distanza sia ancora così celebre”. Al tempo fece scandalo, ma oggi succede di molto peggio. E quella sfuriata è ricordata come uno dei momenti iconici nella storia del tennis

Quattro parole che ridefinirono i canoni del tennis

Dovessimo fare un sondaggio sulla frase più iconica nella storia del tennis, ce n’è una che vincerebbe a mani basse. Perché nulla nel mondo della racchetta ha attraversato le generazioni come lo storico “You cannot be serious” del genio John McEnroe, pronunciato durante il suo match di primo turno a Wimbledon di 40 anni fa (VIDEO). Sì, quaranta: erano altri tempi e un altro tennis, fermo alle racchette di legno, eppure ancora oggi il mito di “Mac” è legato a quelle quattro parole strillate al giudice di sedia Edward James, che lo arbitrò per la prima – e unica – volta in quel confronto contro Tom Gullikson. Sul Campo 1 dell’All England Club era il primo punto del terzo game del set d’apertura: McEnroe servì una prima palla al centro, che toccò la riga interna. Dal video si vede chiaramente come si alzò una nuvoletta di gesso: prova inequivocabile della bontà del servizio. Non erano dello stesso avviso il giudice di linea e l’arbitro, che confermò l’out mandando su tutte le furie lo statunitense. “Non puoi essere serio – disse John –, quella palla era sulla linea. È andato gesso dappertutto. Quella palla è chiaramente dentro, come puoi chiamarla fuori? Il mio avversario stava già cambiando lato, tutto lo stadio sa che era dentro, e tu la chiami fuori?”. Il siparietto col giudice di sedia – che gli costò un warning – durò pochissimo, meno di un minuto, ma bastò per ridefinire certi canoni oggi (fortunatamente) superati, consegnando McEnroe alla gloria eterna al pari dei suoi trionfi.

Nel corso di quel match, McEnroe continuò a lungo a battibeccare col giudice di sedia, arrivando anche a definirlo “una disgrazia per il mondo”, ma vinse la partita per 7-6 7-5 6-3, lanciando la sua corsa verso il primo dei tre successi ai Championships. “È incredibile che una frase detta al primo turno del torneo del 1981 – ha raccontato McEnroe in un’intervista al Times – sia ancora così celebre a quarant’anni di distanza. Una benedizione mista, più positiva che negativa”. Già, perché al tempo gli costò varie critiche e anche la mancata membership come socio onorario dell’All England Club riservata storicamente a tutti i vincitori del torneo, a causa del suo “comportamento irrispettoso” (in tutta risposta, Mac rifiutò l’invito per la Cena di gala dei vincitori). Ma col passare degli anni il suo “You cannot be serious” si è trasformato in uno dei simboli del tennis. Basta guardare i numeri di YouTube: il video della finale arriva a malapena a 250.000 visualizzazioni, la sfuriata è prossima ai 3 milioni. Prova che ha dato una grossa mano alla sua popolarità, e anche al suo conto in banca. “È stata l’unica volta che l’ho detto nei miei 15 anni di carriera, ma poi quando ho ripreso a giocare nel Senior Tour mi pagavano un bonus se pronunciavo quella frase contro il giudice di sedia. L’ho fatto spesso, scherzando ma sempre con un pizzico di serietà. È esattamente ciò che la gente si aspettava da me”.

L’autobiografia, lo spot tv e la gloria eterna

“You cannot be serious” è diventato anche il titolo della sua autobiografia datata 2002, mentre quattro anni dopo i pubblicitari della casa automobilistica Seat ci hanno costruito attorno uno degli spot più azzeccati che memoria ricordi. In quel caso, “on the line” non c’era la pallina ma la ruota della sua auto, e a non essere d’accordo con lui non era il giudice di sedia ma un vigile, che lo multò per aver – secondo lui –parcheggiato fuori dalle righe (VIDEO). “Ogni tanto – ha continuato McEnroe – i miei figli mi dicono di riguardare i miei video, che li posso trovare su YouTube, ma non mi interessa particolarmente. Preferisco affidarmi ai miei ricordi”. Anche perché c’è da scommettere che di quell’edizione 1981 a lui venga in mente soprattutto il trionfo, il primo ai Championships, che gli permise di vendicare la sconfitta contro Borg nella famosa finale di dodici mesi prima, alla quale è stata dedicata l’apprezzata pellicola “Borg McEnroe” uscita nelle sale cinematografiche nel 2017. “Batterlo in finale, quell’anno, fu un sollievo incredibile. Mi spiace solo che sia stata l’ultima volta che ci siamo affrontati a Wimbledon. Guardo Nadal e Djokovic, fra di loro ci sono 58 sfide. Fra me e Borg solo 14. Eravamo sul 7-7 (dopo la finale dello Us Open 1981 vinta dallo statunitense, ndr), e l’avrei affrontato ancora volentieri. In campo eravamo opposti in tutto: stile di gioco, look, atteggiamento, ma fuori siamo più simili di quanto la gente possa pensare. E infatti oggi Bjorn è uno dei miei più cari amici: sono onorato che il più grande rivale della mia carriera sia stato proprio lui”.

Rivedendolo a quarant’anni di distanza, con gli occhi di un tennis che è cambiato parecchio, non è che quel giorno sul Campo 1 McEnroe avesse combinato granché. Anche perché certi suoi atteggiamenti sopra le righe non erano nuovi: il pubblico lo conosceva, aveva già vinto degli Slam, era stato numero uno. Erano semplicemente altri tempi. Oggi una sceneggiata simile passerebbe quasi inosservata, tanto che negli anni è successo di (molto) peggio. Eppure la sua fama è quasi più legata a certi siparietti (indimenticabile la squalifica all’Australian Open del ’90, per somma di ammonizioni) piuttosto che a una carriera favolosa, con sette titoli Slam in singolare e tanto, tantissimo altro. Ma tutto viene ricordato in positivo, tanto che quella BBC che all’epoca non impazziva all’idea di trasmettere in tv le sue parolacce (fedele al tipico rigore british che a Wimbledon ha ancora il suo perché), da ormai vent’anni l’ha voluto come telecronista per i Championships, dandogli la libertà – e non è banale – di essere se stesso, nel bene e nel male. E pazienza se negli anni qualche piccola polemica su alcune sue uscite c’è stata: fa tutto parte del personaggio McEnroe, moderno in un tennis antico e senza tecnologia. Se ci fosse stato occhio di falco all’epoca – ha chiuso Mac – oggi non saremmo qui a parlare di quanto successo 40 anni fa, o di tanti momenti storici della mia carriera. Anche se avrei sprecato molte meno energie a discutere con gli arbitri”. Lui forse ci avrebbe guadagnato, ma il libro del tennis avrebbe perso alcuni dei suoi capitoli più divertenti.