Il nuovo anno potrebbe portare l’addio definitivo del fuoriclasse svizzero. La speranza è di vederlo ancora una volta all’opera sostenuto da una forma fisica capace di far splendere il suo talento
Sono passati due anni esatti poco più di due anni dall’inizio di questi Atti di Federer. Riavvolgiamo il nastro. Covid-19 era una sigla esotica, confinata in Cina. Banalmente, eravamo tutti due anni più giovani. E l’entusiasmo era alto: “Bando ai sentimentalismi. Ci sarà tempo per diluirli nel mare dei prodigi tennistici di cui ancora Roger vorrà beneficarci. Ci attende un 2020 comunque radioso. Lo passeremo, in parte, insieme. Un 2020 forse baciato da due numeri: 21 – battendo una buona volta il serbo in finale nel tempio del tennis? – e 110, a Tokyo o alle Finals, dice l’ottimismo della volontà. Troppo? In questi giorni natalizi ce lo concediamo…”. Sorrido, rileggendomi. Non un grande profeta, il minimo che si possa dire.
A essere onesti, l’inizio non era stato neppure male: semifinale del Re agli Australian Open contro Nole, con inevitabile sconfitta a causa delle sue precarie condizioni fisiche, dopo l’infortunio inguinale patito nel match precedente. Poi gelata repentina: il 20 febbraio Roger annuncia la sua operazione al ginocchio. Poi pandemia, isolamento, tornei sospesi, qualche fugace apparizione di Sua Grazia. Poi, poi, poi, 2021… e da sei mesi, dalla commovente uscita di scena da Church Road ai quarti per mano del giovane bombardiere polacco, nulla più. Paradosso: ho scritto più o meno un articolo al mese, quasi più delle partite dell’Artista in questi due anni.
E ora, amici miei? Intervistato sulla rivista cartacea dal Direttore, il suo più recente biografo, Christopher Clarey, ammette: “Non credo lo rivedremo in campo, ma spero di sbagliarmi. Ci sta provando, ma temo si renderà conto alla fine che il suo corpo non ce la fa più. Se succederà, le sue chance sono sull’erba, dove non ha tanti rivali, ma non lo vedo vincere altri Slam”. Saggio realismo, con la solita apertura di credito sull’erba, dove il Re è comunque ancora un Principe. Ma quanti ma, troppi…
Allora, amici miei? Visto che siamo in tempo natalizio possiamo consolarci con un ardito parallelismo rispetto al prologo giovanneo: “E il tennis si fece Roger e venne ad abitare in mezzo a noi. E noi abbiamo contemplato la sua grazia”. Provate a smentirmi! Più modestamente, potremmo riutilizzare l’elogio oraziano che nella Pinacoteca di Brera è posto sotto una statua di Napoleone: “Nihil maius generatur ipso nec viget quicquam simile aut secundum”; “niente (nessun tennista) è generato di più grande di lui e niente esiste che gli assomigli o lo segua”. (E il paragone con Djokovic, alla luce dell’“esenzione medica” ottenuta dal serbo per poter partecipare ai prossimi Australian Open, lo dimostra anche dal punto di vista umano!). In questo anno nuovo esageriamo, ma neanche poi tanto, ce ne rendiamo sempre più conto in questi mesi che ci abituano all’addio. Infatti, “Federer ci ha suggerito l’esistenza di una natura divina dell’uomo, e al contempo l’impossibilità di raggiungerla in maniera compiuta. Si è via via arreso alla consunzione del proprio talento, ma mai del tutto, fino in fondo. Non ha mai smesso di suggerire l’esistenza di una dimensione sacra e metafisica attraverso una partita di tennis” (Emanuele Atturo). Dite poco?
Comunque, cosa ci attende? Chi sa?, si chiederebbe il nostro Qohelet. Non so, non sappiamo, in tanti sensi. Accogliamo quello che il 2022 ci porterà, non si può fare altro. Ma lo si può fare in tanti modi, con più o meno stile. Ah, dimenticavo: da due anni conservo i biglietti validi per quattro giorni al torneo di Halle, il prossimo giugno. Sai mai… Al nuovo anno chiedo almeno una cosa: rivedere ancora una volta Roger dal vivo in condizioni fisiche decenti, dunque poetiche, per definizione. E lo auguro anche a voi. Perché la bellezza e la semplicità devono splendere ancora e sempre, pur al tramonto. Non ci si deve disabituare alla bellezza. Adeste fideles, sursum corda, amanti dell’arte in movimento, alias Roger Federer! E buon anno: ne abbiamo tanto bisogno.
Ludwig Monti