Sono passati undici mesi dall’ultimo match di Roger Federer. Il nostro fan biblista riflette sull’anno ormai passato, segnato dalla mancanza del Re, e pregusta la gioia del ritorno, senza azzardare previsioni, visto che a inizio 2020…
Ebbene sì, abbiamo trascorso un intero anno senza vedere il Re in campo. Per la precisione undici mesi, dal 30 gennaio scorso. Sappiamo però che i prossimi Australian Open prenderanno avvio l’8 febbraio 2021, dunque i conti sono presto fatti. “Ma è successo qualcosa di più importante”, potreste obiettarmi, come Nanni Moretti a chi gli faceva notare, nell’anno della nascita del figlio, che da troppo non faceva un film. Ovvio: una sgradita pandemia, ancora tra noi. Anno incredibile, infinito, questo 2020, e potremmo aggiungere attributi meno educati. Si usa dire: “Sembra ieri, ed è già passato un anno”. Stavolta è il contrario: solo un anno? Solo undici mesi da quando a casa del Direttore si guardava insieme Nadal-Kyrgios agli Australian? Vabbè, non torniamo a metterla sul tempo. Ma pare davvero impossibile, e so di non essere originale…
Per una volta ardisco citarmi. Pieno di speranza, aprivo la mia collaborazione con questa gloriosa testata proprio il 1° gennaio 2020. Alla fine mi lasciavo andare: “Ci sarà tempo per diluire i sentimentalismi nel mare dei prodigi tennistici di cui ancora Roger vorrà beneficarci. Sì, ci attende un 2020 comunque radioso, credo e voglio sperare. Lo passeremo, in parte, insieme … E così mi accingo a rinnovare un atto di fede, anzi un atto di Federer. Un atto lungo un anno. Poi sia quel che sia”. Le ultime parole famose! Un po’ sinistro, a posteriori…
Abbiamo invece fatto i conti con il tennis nella bolla, con l’assenza di spettatori sugli spalti, con tanti tornei saltati (tra cui un solo Slam, l’inimitabile). Ma soprattutto con la mancanza di Roger, che avrei dovuto vedere dal vivo ad Halle: la sua presenza e le sue magie ci avrebbero deliziato e rallegrato almeno un po’. E invece no, invisibile. Dopo averle tentate tutte per attraversare questo deserto, dopo aver meditato sulla resistenza, l’attesa, il tempo, il desiderio, la santità – sempre a partire dall’Artista –, lasciatemi divagare sulla mancanza.
Niente video né foto stavolta: sono curioso di vedere quale immagine accompagnerà questo pezzo. Per parte mia, starei sulla tonalità bianca, come quella della neve che ora mi circonda. La mancanza: porta aperta verso una pienezza che non sappiamo darci da soli; speranza in ciò che possiamo solo attendere con molta pazienza; spazio vuoto gravido di qualcosa che ancora non conosciamo. Spinta a lottare contro il troppo pieno, anche se, nella cattività che stiamo attraversando, questi ragionamenti sembrano fuori luogo. Fonte di profonda creatività: si pensi all’inventiva scatenata in noi dalla mancanza di persone amate, in attesa di riabbracciarle.
La Bibbia ci insegna che fin dal giardino dell’in-principio almeno una cosa manca sempre: si può mangiare da tutti gli alberi, tranne che da uno. Eppure vogliamo quello… Gesù, in una famosa pagina evangelica, dirà a un innominato: “Una sola cosa ti manca”. Grande sfida quella per centrare proprio ciò che ci manca; ancor più, quella per accettare che, riempito un vuoto, se ne apre un altro. Bando alla filosofia e torniamo agli inesauribili Salmi, Centre Court esistenziale (mi piacerebbe un giorno abbinare a ciascuna delle più famose partite di Roger un Salmo, lo farò). In uno di essi si legge: “Fammi conoscere, Signore, la misura dei miei giorni: qual è? Che io sappia cosa mi manca”. Ineguagliabile, forse paragonabile solo al tweener del re contro Nole nella semifinale degli Us Open 2009 (e all’espressione del serbo a rete). “Che io sappia cosa mi manca”: meditate, gente, meditate!
Ci sei mancato tanto, Roger. Questa volta non oso predizioni. Meglio tacere, anche perché ci becco di rado. Sarà comunque meraviglioso rivederti in campo. Con un’atarassia stoico-buddhista che non mi appartiene, sto per scrivere: “I risultati non contano più, purché la tua bellezza torni a farci compagnia”. Già mi pento e grido: ci vediamo a Torino a novembre prossimo, non mancare! Lascio dunque la parola a chi lo conosce bene, il suo coach Ljubo, che nei giorni scorsi ha detto: “Sono stato in Svizzera, si sta allenando. È motivatissimo, è incredibile. Tanti si chiedono perché gioca ancora, fanno fatica a capire che lo fa perché si diverte, gli piace vincere. Vuole essere competitivo e tornare ai massimi livelli”. Musica per le nostre orecchie, balsamo sulle nostre ferite, benché niente e nessuno possa ridarci ciò che abbiamo perso in quest’anno senza Roger. Viene allora spontanea la domanda: non è che con questo anno di “ritiro” (orticaria!) abbia voluto abituarci alla sua definitiva mancanza? Un bel regalo di Natale, anche se al momento vorremmo solo quello di poterci muovere liberamente.
Ma soprattutto: se già ci sei mancato così tanto, quanto ci mancherai dopo?