Dopo le incredibili emozioni delle due finali pre-pandemia, nessuno si aspettava di dover aspettare un anno per rivedere i campioni in campo ai Championships. Ricordandoci quei due match ci prepariamo ad un nuovo capitolo di storia del tennis

Quei due matchpoint di Federer

L’edizione 2020 sarebbe scivolata via così: né vincitori né vinti! Il covid ci aveva assaliti alle spalle spazzando via ogni entusiasmo e gli Championships n.134 erano passati in cavalleria.

L’anno prima, invece, del virus nessuna traccia e tutto si era consumato tra emozioni infinite, rinnovate l’indomani da quel senso di vuoto che talora reclama la sua parte di mestizia. Il sipario appena sceso sui prati in Church Road, lasciava spazio al dolce down che assale appena dopo un grande evento e su un fondale surreale sembravano scorrere all’infinito applausi scroscianti e tenui brusii. In un clima ovattato, palline giallastre prive di rumore continuavano a rincorrersi quà e là per il campo e nel dolce senno del poi, anche Wimbledon 2019 finiva col nutrirsi di ricordi. Tanto da evocare bianche figure ancora lì, colpo su colpo, a perpetuare una finale che per la sua bellezza non avrebbe mai dovuto avere fine. Un quadro allegorico che dal grande centralone rimandava di getto all’ombra di quell’8-7 al quinto durante il quale il passo felpato di Roger Federer trascinava al seguito due matchpoint da giocare col valore aggiunto del servizio.

Quanto accaduto di lì a poco sarebbe giunto come un dito nella piaga su di un popolo sterminato che insieme al suo signore inseguiva il miraggio del nono titolo sulla magica erba del sud est londinese. Un brulicare di visi in cerca di stupore, risuonava di “ ooooh” incantati dinanzi a quella che sarà ricordata come una storia di dritti maledetti. Per questioni d’ansia, il primo era sfuggito alle corde dello svizzero andando a parare di sventaglio appena fuori da una riga. Il secondo era divenuto, cammin facendo, uno splendido passante diagonale che il fantasma di un irriducibile Novak Djokovic aveva messo cinicamente a segno. Quindi era stato tutto un susseguirsi di mugugni gioiosi o dolenti, secondo l’andazzo del gioco, fino a un ultimo straziante vocio seguito a un dritto malamente steccato dal divino, finito troppo lontano dalle righe per incutere timore. Tutto era finito così, e neanche il più fervido immaginario avrebbe cambiato la lenta rievocazione del giorno dopo! Tutto era stato detto e il serbo chiudeva la faccenda con un 13-12 senza appello denudando il re del nono trionfo e mandando in pezzi il sogno di eterna giovinezza.

A Serena sfugge il record

Visioni in libertà che in quel lunedì di metà luglio finivano per agitarsi pure per i lineamenti abbondanti di un’altra leggenda, anch’essa alla ricerca di un record. Sullo stesso centralone, la più piccola delle Williams inseguiva il 24° major da aggiungere a una prestigiosa carriera. Ci provava in tutti i modi ma a fare da guastafeste, quella volta, ci avevano pensato le sembianze, ridotte ma decise, di Simona Halep che muovendosi in modo leggiadro raccontava al mondo di un bel tennis dinamico opposto a quello più statico dell’americana. Una cornice onirica tutta al femminile, che lasciava a Serena la miseria di pochi game e rilanciava l’immagine eterea di una Margaret Court Smith felicemente immersa nei suoi 24 slam.

E nel gradevole oblio del day after, anche il color dell’ocra misto a verde diceva la sua circa i segni di un torneo ormai alle spalle. Aloni giallastri a forma di sogliola rivelavano di un gioco globale ormai imperante sul serve and volley del tempo che fu e i fili d’erba immacolati a ridosso della rete rivelavano che figure alla McEnroe, Edberg e Sampras erano passati ormai ad altre passioni. Nell’atmosfera più silente, uno struscio rasente il seggiolone tradiva cambi di campo reiterati e il calpestio di fisioterapisti dal fare assai solerte, mentre a uno sguardo più lontano non sfuggivano isolette in zona tattica, habitat perfetto di vispi raccattapalle e giudici di linea pieni di amor proprio.

L’amarcord è quasi ai titoli di coda quando inizia a declinare sui duchi di Kent. In un protocollo sopravvissuto a tutto, Sir Edward e Lady Katharine avanzano ieratici nel loro alone di nobiltà gratificando qualcuno, qua e là, con parole che solo a pochi è dato sapere.

In un pathos melanconico i trofei si erano elevati al cielo e nella rievocazione di quel tardo pomeriggio, Djokovic sorrideva mentre Federer sprizzava rammarico. Poi tutti si erano salutati così, volgendo un pensiero al futuro.

Da allora tutto è accaduto e altro accadrà. Ma è tempo di riprovare e una volta in bolla, Wimbledon 2021 potrebbe respingere anche l’ultima variante. Dunque, teniamoci forte e torniamo a sognare.