Le aziende ci hanno abituato a contratti faraonici, ma nel caso delle indiscrezioni sul nuovo accordo fra l’azzurro e il colosso di Portland – né confermate né smentite – la cifra sembra davvero fuori scala. Ecco perché, e come funzionano veramente i contratti di sponsorizzazione
Non c’è nulla di male, da parte di un’azienda, nell’investire cifre rilevanti su atleti affermati o ritenuti emergenti. Ci sono però tre elementi cardine da tener presente in ogni buona transazione : opportunità, proporzionalità e riservatezza. Il caso Sinner-Nike, ammesso che le indiscrezioni siano attendibili, pare non rispetti nessuno di questi elementi. Sull’opportunità di investire 150 milioni di dollari (o euro, ormai fa quasi lo stesso) sul numero 12 della classifica legandolo 10 anni si può discutere all’infinito, certo sarebbe una prima volta e un “unicum” storico. Ci sono giocatori (sicuramente Federer, ma anche Tiger Woods) a cui vengono proposti, a fine carriera, contratti “a vita” per farli diventare ambasciatori del marchio. Ma a fine carriera, appunto. Nel tennis non c’è il cartellino, non c’è alcun motivo per un’azienda di contrattualizzare un giocatore in attività per cosi lungo tempo. Tutti i contratti di sponsorizzazione, infatti, prevedono il “Right to match” ossia la possibilità, per l’azienda, di pareggiare offerte di aziende concorrenti entro i sei mesi precedenti la naturale scadenza del contratto. E’ quasi la clausola più importante ma non genera mai problemi perché è quella che garantisce entrambe le parti. L’azienda può decidere se lasciare o tenere il giocatore, il quale a sua volta non perde nulla perché i soldi per lui saranno sempre gli stessi, sia che l’azienda pareggi, sia che ne subentri un’altra. Sinner è certamente un giocatore emergente (ma non ancora del tutto emerso) ma ho forti dubbi che la Nike si esponga a una strategia così rischiosa. L’elenco delle grandi promesse finite nel nulla, o quasi, è lunghissimo. Dov’è oggi Emma Raducanu? Dov’è Dominik Thiem? Il tennis può durare tanto, ma anche poco. C’è poi il tema della riservatezza. Le trattative importanti, quelle vere, si fanno sempre in silenzio. Non ci si fa travolgere dall’entusiasmo. Buttare cifre al vento ha una sola conseguenza: alzare il prezzo. L’azienda ha interesse al contrario. Quindi prima si firma, e poi si annuncia. Tendo quindi a escludere che la sia stata la Nike a mettere in giro la voce. Quando in Sergio Tacchini ho contrattualizzato Goran Ivanisevic, sarei stato licenziato in tronco se avessi fatto filtrare la notizia. Non ho mai lavorato per la Nike, ma sono sicuro che le regole siano le stesse, se non più rigide.