L’EDITORIALE – Le sei sconfitte azzurre nel singolare maschile, con un solo set conquistato, obbligano a una riflessione, considerando che alle spalle dei nostri migliori giocatori, Fognini e Seppi, la situazione è piuttosto grigia. E una rivoluzione totale del Settore Tecnico appare inevitabile.

In una giornata di valium tennis come quella che si preannuncia oggi (e che fa pensare se sia meglio tornare alle 16 teste di serie, proteggendo meno i top players ma garantendo maggior spettacolo nella prima settimana), ahimè, possiamo già fare un bilancio della presenza italiana maschile, piuttosto modesta, considerando che Roland Garros è storicamente lo Slam più amico.

Dei sei presenti, uno solo (Thomas Fabbiano, ripescato dalle qualificazioni) è riuscito a conquistare un set, contro Feliciano Lopez, peraltro senza mai dare l’impressione di poter ribaltare un match che lo vedeva sotto di due set. Marco Cecchinato ha giocato un’ottima partita contro Nick Kyrgios (ma le belle difese quando non si ha nulla da perdere sono possibili: più importante sarebbe vedergli passare due turni in un ATP 250), Simone Bolelli ha incassato i suoi 30.000 euro di primo turno e si è difeso discretamente contro Kei Nishikori, considerando anche i suoi ben noti problemi al ginocchio che potrebbero costargli l’operazione. Ha molto deluso, non ci fosse un fastidio di cui non sono a conoscenza, la netta sconfitta in tre set di Paolo Lorenzi contro un (quasi) ex giocatore come Carlos Berlocq, col quale ha racimolato pochi game.

 Come da previsioni, ci affidavamo dunque agli unici due giocatori che negli ultimi anni sono riusciti a scavallare il muro dei top 20 e a farci godere di qualche exploit Slam. Andreas Seppi è reduce dall’obbligatoria infiltrazione semestrale all’anca; ha vinto tre match fra Roma e Nizza giocando il suo peggior tennis (e questa è pure una notizia confortante) ma contro un tizio che l’ha quasi sempre battuto ed è dotato di un tennis più esplosivo del suo, Ernests Gulbis, Seppi avrebbe avuto bisogno di maggior aiuto dal suo avversario, generalmente piuttosto generoso, il quale invece nei momenti importanti non ha sbagliato granché. Dice bene coach Sartori: “Sono contento di come Andreas stia lottando sul campo pur non esprimendo il suo miglior tennis. Come sempre accaduto, è dalla quantità che poi esce la qualità”. In sostanza, ancora qualche match nelle gambe e Andreas dovrebbe ritrovare il giusto feeling (“Ora penso troppo in campo, non sento la palla come vorrei, talvolta mi accorgo di essere troppo rigido”). L’arrivo dell’amata erba potrebbe essere un sollievo.

Ci restava la nostra miglior carta da giocare: Fabio Fognini. Rientrato al torneo di Monte Carlo dopo un problema all’addome, sembrava che la pausa primaverile potesse portarlo a Parigi in condizioni ideali e con la voglia giusta. Ha perso tre set a zero contro Marcel Granollers, un tipo dallo stile maldestro ma efficace. Jacopo Lo Monaco, in telecronaca per Eurosport, ha riassunto perfettamente il match: “Granollers sta giocando ogni punto come fosse il match-point, Fognini come in allenamento”. Fabio ha spiegato in conferenza stampa di essere stanco mentalmente, di aver bisogno di staccare: fra un paio di settimane lo attende il matrimonio con Flavia Pennetta. Fognini ha 29 anni, dovrebbe essere nel pieno della maturazione psicologica ma (chiunque abbia già compiuto quel passo) il matrimonio, l’idea di un pargolo, di una famiglia, ti obbliga a riflessioni personali importanti. C’è chi ne esce rafforzato nelle sue voglie sportive, chi al contrario destabilizzato. Per il tennis italiano sarebbe importante ritrovarlo nella forma migliore, perché alle sue spalle di nuovi Fognini non riesco a vederne.

Se Roland Garros è stato un campanello d’allarme, una sirena si è accesa al concomitante Challenger di Vicenza dove, tra qualificazioni e primo turno, hanno perso Matteo Donati, Lorenzo Sonego, Stefano Napolitano e Gianluca Mager. In sostanza, tutte le nostre migliori speranze, fatto salvo quell’Andrea Pellegrino che ha (molto) ben impressionato nel Challenger di Roma Garden e che i tecnici federali indicano come il nostro miglior prospetto (come prima lo era Quinzi, poi Donati, poi Sonego…). Si può cercare di essere ottimisti, ma è evidente che il progetto del Centro tecnico Federale di Tirrenia è stato (ed è attualmente) un fallimento. Il suo direttore, Eduardo Infantino, ci ha detto che in tre anni la situazione sarebbe notevolmente migliorata; in un’azienda privata, sarebbe già stato licenziato da tempo. Sulla questione il presidente Binaghi mi è parso piuttosto vago (ho letto e riletto la sua dichiarazione sull’argomento nella conferenza stampa di fine Internazionali d’Italia, ma ancora devo capirla: colpa mia, evidentemente).

Purtroppo abbiamo un Centro Tecnico disperso nel nulla, senza che ci lavorino i migliori coach italiani e dal quale si allontanano presto i migliori prospetti cercando soluzioni private, spesso arrangiate. Può darsi avesse ragione l’ex presidente Paolo Galgani nell’affermare che il fuoriclasse te lo porta la cicogna, ma il sistema francese (tanto per citare il migliore) dimostra che i buoni giocatori (e per loro si intende dei top 20…) si possono costruire con lavoro, metodo e programmazione. Mentre al nostro Presidente e ai dirigenti sudditi basta ripetere all’infinito quanto la nostra Federazione sia ricca, quanto gli Internazionali d’Italia ricavino e fatturino, come farebbe l’amministratore delegato di una qualsiasi società. Ma il compito e i risultati da portare non sono puramente economici ma soprattutto di risultati in campo e di metodo. Per anni ci siamo gloriati dei successi di Errani, Pennetta, Fognini, tutti cresciuti lontano dall’Italia, ora che si tratta di far da sé, il futuro sembra terribilmente nero.

E allora si può ripartire solo da due strade: una riforma del Centro Tecnico, sostituendo i tecnici che hanno fallito oppure… prendere i nostri migliori giovani e farli crescere nei centri esteri che hanno già dimostrato di saper creare degli ottimi professionisti. Tanto i soldi per pagarli, almeno quelli, alla nostra Federazione non mancano.