Sarà ben difficile che un tennista brasiliano possa aggiudicarsi una medaglia alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. La commozione provata quattro anni fa dai britannici, quando Andy Murray trionfò sull’erba di Wimbledon, non dovrebbe ripetersi all’Olympic Tennis Center. Hanno qualche chance nel doppio maschile, ma il problema è che i migliori doppisti carioca non giocano insieme nel tour: Marcelo Melo fa coppia con Ivan Dodig, mentre Bruno Soares con Jamie Murray. Tuttavia, il tennis brasiliano avrà una storia da raccontare dal 6 al 14 agosto. E non importa se il sogno a Cinque Cerchi di Teliana Pereira dovesse spegnersi al primo turno. La migliore giocatrice brasiliana, nonché l’unica di un certo livello, ha già realizzato un sogno, ben più difficile che giocare le Olimpiadi nel paese natale. “Sono davvero impressionato da come Teliana ha saputo superare gli ostacoli nel corso della sua vita. La sua è stata una straordinaria lotta per la sopravvivenza” ha detto Gustavo Kuerten, miglior tennista brasiliano di ogni epoca, interpellato nientemeno che dal New York Times. L’articolo del NYT paragona le difficoltà della Pereira a quelle di Novak Djokovic e delle sorelle Williams. Ma se Nole è cresciuto tra i bombardamenti e le sorellone hanno imparato a giocare in mezzo al ghetto, la Pereira, semplicemente, era povera. Con un linguaggio asettico, potremmo dire che è nata in una famiglia al di sotto della soglia della povertà. Tutto è partito da Santana do Ipanema, nello stato di Pernambuco, nord-est del Brasile. Non sappiamo quanto ci sia di vero e quanto di romanzato, ma la leggenda narra che il bagno dell’abitazione di famiglia (oltre a lei c’erano altri sei fratelli, tre maschi e tre femmine) fosse nel cortile di casa. E che non sempre ci fosse il pane a tavola. E’ certamente vero che un’altra sorella sia morta da bambina, ad appena sette mesi. La causa? Disidratazione. E nelle vicinanze non c’era nemmeno un ospedale. In una situazione del genere, come puoi pensare di andare a scuola? Impossibile. La vita dei Pereira è cambiata intorno al 1996, quando Teliana aveva otto anni. Si sono spostati a Curitiba, nello stato del Paranà. Non un luogo di lusso, ma certamente civilizzato. Al punto da permettersi un circolo tennis, dove papà Josè (ex muratore) aveva trovato lavoro come custode. Da lì, il passaggio verso il tennis è stato più naturale che automatico. Al mattino andava a scuola, ma al pomeriggio non aveva niente da fare. Così si recava al club per dare una mano al padre a spazzolare i campi, o semplicemente godersi la vita da club.
Come tanti campioni del passato (tra cui Maria Esther Bueno, migliore brasiliana di sempre), ha iniziato come raccattapalle. Oggi non accade praticamente più, anche se una prova filmata racconta di come Roger Federer abbia fatto da ballboy durante la finale dell’ATP di Basilea nel 1993. Ma Roger, come quasi tutti i top player, non è certo cresciuto tra gli stenti. Raccogliere le palline le serviva per guadagnare qualcosa, ma poi ha capito che avrebbe potuto essere lei, la protagonista. Stesso percorso effettuato dal fratello Josè, che sta svolgendo con coraggio una buona programmazione internazionale che l’ha portato a ridosso dei top-200 ATP (oggi però è n 298). Il direttore della scuola tennis di Curitiba è Didier Rayon, un francese emigrato in Brasile negli anni 80, poi diventato una specie di mentore per Teliana. A suo dire, non c’è nessuno, ma proprio nessuno, che sia diventato un campione partendo da una situazione di povertà come quella di Teliana. “Nel 2006, in occasione di un torneo in Perù, è rimasta senza mangiare per un giorno intero. Non aveva soldi né carte di credito, quindi non ha avuto cibo fino a quando non le è arrivato il denaro che le avevo inviato. Potete immaginare le condizioni”. Viaggiare era una delle cose più complicate. Si dice che per consentirle di acquistare i biglietti aerei si facessero delle collette nel club. Va detto che Teliana è stata brava, perché non ha mai sgarrato. Anzi, nel circuito ITF è dominatrice o giù di lì. Ha vinto ben 22 titoli nel circuito minore, nonostante un grave infortunio al ginocchio che nel 2009 l’ha obbligata a un paio di interventi chirurgici. Nonostante tutto, è ripartita (anche in questo caso con aiuti economici da chi le vuole bene) e nel 2013 è diventata la prima brasiliana tra le top-100 addirittura dal 1990.
Non contenta, l’anno scorso si è scatenata. Ha vinto il primo titolo WTA a Bogotà, mettendo fine a un digiuno di 27 anni (l’ultima era stata Neige Dias), poi si è ripetuta in estate, nel torneo casalingo di Florianopolis. C’erano tutti, a vederla: buona parte della famiglia (Curitiba dista poco più di 300 chilometri) e, soprattutto, Gustavo Kuerten, che a Florianopolis c’è nato. E pensare che durante la finale contro Annika Beck non stava bene. “Però sapevo che c’era la mia famiglia, oltre a tante persone arrivate apposta da Curitiba. Non potevo deluderli”. Dopo il successo si è presa due settimane di vacanza e ha dato una “grande, grande festa”. Non è difficile crederle: il Brasile è pur sempre la patria del Carnevale di Rio…ma è anche un paese con problemi politici, sociali ed economici che infatti stanno creando qualche apprensione in vista dei Giochi. A fine anno, Teliana è tornata nella città d’origine per ricordare quel che ha vissuto da bambina. “L’ho detto a mia mamma. Dobbiamo tornare. Devo tornare perché devo vedere da dove vengo, e non lo posso dimenticare”. Teliana sperava che da lì arrivasse un po’ di forza extra in vista del 2016, ma per adesso sta andando malissimo. Prima di questa settimana aveva vinto solo una partita, a Miami, contro la connazionale Beatriz Haddad Maia. Da numero 43 WTA, il suo ranking si è gonfiato fino all’84esima posizione. Però a Rabat ha colto un incoraggiante successo contro Annika Beck (ancora lei!) e guarda con fiducia al secondo turno contro Johanna Larsson. Ma oggi, a quasi 28 anni, non ha più niente da chiedere al tennis. “Se la mia carriera finisse oggi, andrebbe bene. Adesso mia mamma ha una casa grande…vabbé, non così grande. Una casa normale. Adesso abbiamo tutto”. Avessimo qualche problema a mettere le cose nella giusta prospettiva, adesso sapremmo a chi rivolgerci.