Patricia Tarabini, coach di Anna Kalinskaya, ci parla della passione per l’Italia, dei progressi della sua allieva, del rapporto con Sinner e…

foto Ray Giubilo

«I migliori anni della mia vita? Sono stati quando ero junior e stavo spesso in Italia. Ad esempio ho tanti bellissimi ricordi legati al torneo under 18 di Salsomaggiore». Patricia Tarabini, ex top 30 in singolare e grande doppista (15 titoli e un bronzo alle Olimpiadi di Atene), da cinque anni allena Anna Kalinskaya. Sul ‘Prato’ di Wimbledon, appena dopo il successo di Anna nel derby con Liuda Samsonova – un derby russo dal sapore molto italiano, viso che Liuda è cresciuta in Italia ed è seguita dall’italianissimo Danilo Pizzorno – c’è tempo per parlare di tanti argomenti. 

«Amo l’Italia, amo gli italiani – sorride Patricia – Alla mia epoca le migliori azzurre erano Sandra Cecchini e Raffi Reggi. Io sono di famiglia italiana e mi chiesero se volevo giocare per l’Italia o per l’Argentina: scelsi l’Argentina. E sbagliai…».

Oggi Luciano Darderi ha definitivamente scelto l’Italia.

«Darderi è un bravo ragazzo, e gioca con il cuore. Proprio come Anna». 

Come è cominciato il vostro rapporto?

«Cinque anni fa,  proprio qui a Wimbledon. Anna allora era attorno al numero 160 in classifica, si era qualificata poi aveva perso al primo turno. Io ero ferma dopo aver allenato Conchita Martinez perché non avevo più voglia di viaggiare, ma Anna mi è piaciuta per due motivi. Come persona è una ragazza con cui si può parlare di tante cose, non solo di tennis, ma della vita, della famiglia, di tutto. E poi perché non capivo perché giocando così bene non era più in alto in classifica».

Ora i risultati stanno arrivando: numero 18, dopo essere stata anche 17 partendo dal n.53 del 2023.

«Era già pronta un anno fa. Ma per allenare una giocatrice di quel livello e portarla in alto servono almeno tre anni. Ci sono tante cose da curare, da mettere a posto: il diritto, il rovescio, il servizio… E poi la mamma, il papà, gli amici, il ragazzo: tutto deve funzionare bene perché uno possa dare il meglio».

Una sfida.

«Era un obiettivo che mi ero messa: volevo prendere una giocatrice che fosse intorno al n. 160, 170 della classifica e portarla fra le prime 10. Ma onestamente credevo fosse più facile».

Che tipo è Anna?

«Con Anna ho imparato molto. Ad esempio che sono io che devo capire lei, e non impormi, perché questo è il suo tempo, non il mio. E’ una ragazza bravissima, fa domande, sa ascoltare, non alza mai la voce. E’ un piacere stare con lei. Credevo che sarebbe arrivata prima, ma va bene così, ho imparato anche questo: non si trattava di arrivare presto, ma di arrivare».

Come giudichi il tennis femminile di oggi?

«A me piacevano Martina, Serena, Venus, Steffi… Mi piaceva quella mentalità. Ad Anna ho spiegato che non conta solo tirare, tirare, ma anche usare lo slice, la palla corta, che bisogna andare a rete. Tatticamente poi le donne cambiano sempre, puoi anche preparare la partita ma è difficile avere un piano, una tattica precisa, bisogna sapersi adattare. 

Ora Anna ha un gioco moderno ma con un po’ della varietà del passato. La prima volta che ci siamo parlate mi ha detto: voglio vincere il punto, voglio tirare forte. Poi ha capito che doveva variare, e che a volte il punto lo vinci come vuoi, altre come puoi. All’inizio la seconda opzione non le piaceva, ora ha imparato. E sa giocare con il cuore».

Dopo Wimbledon ci sono le Olimpiadi. Tu hai vinto un bronzo ad Atene: oggi le medaglie per un tennista sono importanti quanto uno Slam?

«Le Olimpiadi sono molto importanti, perché giochi per il tuo paese. In BJK Cup o Coppa Davis è lo stesso, ma riguarda solo il tennis, l’Olimpiade riguarda tutto. Per Anna e gli altri giocatori russi non sarà una situazione facile, non hanno un team vero e proprio. Io forse avrei preferito che aspettasse quattro anni, ma c’era una decisione da prendere».

In Argentina ci sono oggi 7 top 100 Atp, ma il primo è numero 18 Atp, e 2 top 100 Wta, ma la prima è numero 65. Tanta quantità, ma mancano una Sabatini, un Vilas, un Del Potro…

«Sabatini e Vilas avevano qualcosa di diverso. Tutti sanno giocare bene, ma quando arrivi numero 10, 15, per salire ancora ti serve quella cosa in più: la fame, la voglia di riuscire. E’ quello che manca un po’ alla generazione attuale. Poi c’è un’altra ragione».

Quale?

«Non ci sono più tanti buoni coach. Prima c’era molta passione, molto lavoro: mangiavi tennis tutti i giorni. Adesso molti allenano soprattutto per mangiare. Ci sono pochi che lo fanno per passione, soprattutto a livello di base, che è il più importante, perché il maestro può accendere la passione in un ragazzino».

Che cosa pensi di Jasmine Paolini? Quest’anno te la sei trovata davanti in finale a Dubai, il primo 1000 vinto da Jasmine…

«Paolini è un fenomeno. Renzo Furlan, il suo allenatore, giocava ai mie tempi, gli avevo detto tempo fa che tre erano le ragazze che mi aspettavo esplodessero: la Navarro, la Schneider e Jasmine. 

La soluzione nel tennis di oggi è il sorriso, e lei la possiede. E’ un bell’essere umano, oltre che una campionessa, sa vivere nel presente. E poi ha Renzo, che è bravissimo. Per me non è ancora arrivata al massimo. Ha migliorato il diritto, il servizio, il lato mentale, può continuare a farlo».

Parlaci di Jannik, che ha sorpreso un po’ tutti quando ha rivelato la sua love story con Anna.

«Jannik è una persona eccezionale. Un bravissimo ragazzo, molto gentile. Come giocatore non c’è bisogno che scopra io quanto è bravo. E insieme con Anna li vedo molto felici, molto sereni… Stanno molto bene, perché si assomigliano. Jannik è un tipo molto riservato e anche ad Anna non piace farsi vedere troppo. Sono due ragazzi molto semplici».

Jannik può vincere anche Wimbledon?

«Ora è il favorito, no? Con lui e Carlitos vedo l’inizio di un ‘clasico’: una volta vincerà lui, un’altra Carlos.… Credo che avere una rivalità del genere faccia molto bene al tennis».

Il problema è: chi cucina la carrot cake? A Berlino fra te, Anna e Daria Kasatkina si è scatenata una girandola di post al proposito…

«Eh, a me piace moltissimo, ma non so cucinare. Quindi ci deve pensare Jannik. Suo papà è un ottimo cuoco e anche lui se la cava benissimo: la sua specialità sono proprio i dolci».