Fossimo in Andy Murray, saremmo contenti. L'imminente leadership mondiale del fratello Jamie potrebbe essere di buon auspicio. Fu proprio Jamie, infatti, il primo Murray a vincere uno Slam. Nel 2007 vinse il doppio misto a Wimbledon insieme a Jelena Jankovic. In quegli anni, i detrattori di Andy lo sottolineavano quasi con perfidia. C'è voluta un po' di pazienza, ma alla fine il fratello minore ha conquistato due Major in singolare. Chissà che la storia non possa ripetersi. Il 4 aprile 2016 sarà una giornata storica: per la prima volta nell'epoca del computer, un tennista britannico (uomini e donne compresi) salirà al numero 1. In verità ce l'aveva fatta Virginia Wade nel 1973, ma erano ancora classifiche fatte a mano. Tra gli uomini, il computer è stato introdotto nel 1973 (nel 1976 in doppio), mentre tra le donne nel 1975 (addirittura nel 1984 in doppio). Jamie Murray ha vissuto un impressionante salto di qualità negli ultimi dodici mesi. Finale a Wimbledon e allo Us Open (insieme all'australiano John Peers), vittoria in Australia in coppia con il brasiliano Bruno Soares. Sarà proprio un brasiliano a lasciargli strada, quel Marcelo Melo che abdicherà in stato vagamente confusionale, poiché proprio a Miami si è preso una pallata in testa dal compagno Ivan Dodig. Come ogni storia che si rispetti, anche quella di Jamie ha avuto i suoi alti e bassi. Tre anni fa, quando era impantanato nei tornei challenger, aveva addirittura pensato al ritiro. Ha tenuto duro ripensando agli inizi, quando colpiva palline di spugna nel salotto di casa a Dunblane. Ed era lui – e non Andy – ad avere la miglior coordinazione occhio-mano. Archiviato senza scossoni il massacro di Dunblane, in cui scampò alla furia omicida di Thomas Hamilton nascondendosi sotto una scrivania nell'ufficio del preside, ha avuto una brillante carriera junior. Finale all'Orange Bowl a 12 anni, numero 2 al mondo nella sua categoria d'età l'anno dopo. Ma le ambizioni in singolare sono franate rapidamente.
63 COMPAGNI DI DOPPIO
Mentre Andy si forgiava in Spagna, presso l'accademia di Emilio Sanchez e Sergio Casal, lui ha vissuto un triste periodo di involuzione presso il Centro Tecnico LTA a Cambridge. Erano gli anni in cui la federtennis britannica non produceva neanche mezzo giocatore: Jamie è l'emblema di quel periodo. Travolto dalla nostalgia di casa, non sarebbe mai più stato lo stesso tennista. Gli hanno rovinato il dritto: prima era un punto di forza, è diventato una debolezza. Perse l'entusiasmo per il gioco e smise di giocare per qualche mese. Il doppio è stata la via d'uscita dal tunnel. Meno titoli sui giornali, ma Jamie non ha rimpianti. Lo aveva detto in tempi non sospetti, quando diceva che una buona carriera in doppio è meglio che lottare ogni giorno per far quadrare i conti tra challenger e futures. Negli ultimi otto anni, ha giocato solo tre tornei in singolare, ovviamente nelle qualificazioni. “Ma il livello del doppio è molto alto, inoltre si guadagna discretamente. A differenza di quello che si dice in giro, non è un raduno di cattivi giocatori che cercano di sistemarsi la carriera”. Il problema di Jamie è stata l'incapacità di trovare un partner affidabile. Ne ha cambiati addirittura 63 e con nessuno c'è stata particolare alchimia. Li aveva provati tutti, da Henry Adjei-Darko a Mischa Zverev. Pensate che nel solo 2012 ne aveva cambiati quindici, ma la svolta è arrivata proprio mentre stava pensando si lasciar perdere.
UN DOPPISTA COMPLETO
Nei primi mesi del 2013 ha cambiato coach, affidandosi a Louis Cayer (ex capitano della Davis canadese, con cui aveva già collaborato), poi ha trovato il partner giusto nell'australiano John Peers. Insieme hanno vinto sei tornei e raggiunto 10 finali, tra cui Wimbledon e Us Open. Risultati sufficienti per qualificarsi alle ATP World Tour Finals. Nonostante i successi, Jamie ha sentito che era il momento di cambiare. E' stata una scelta coraggiosa perché una partnership di tre anni, in doppio, è un fatto piuttosto raro. Ok, con Peers non andavano particolarmente d'accordo, però…Alla fine si è rivolto a Bruno Soares ed è stato colpo di fulmine tecnico: al secondo torneo insieme hanno vinto l'Australian Open. Il punto di forza di Murray è il gioco di volo, ma sa essere imprevedibile con la risposta al servizio. La gioca in slice, a volte manda in confusione gli avversari con morbide risposte in lob. Secondo Dominic Inglot, suo compagno di Davis, Jamie ha una grande fantasia. “Ha perfezionato ogni aspetto del suo gioco. Non ha paura di tirare dritti poco ortodossi, ha un buon rovescio e le volèe sono eccezionali. Non cerca servizi impossibili, ma si limita a quello che sa fare”. La sua leadership scatterà lunedì prossimo ma potrebbe anche durare a lungo, visto che ha appena 30 anni e il doppio è pieno di “vecchietti”. Basti pensare che nella top-15 di specialità ci sono un 43enne, un 39enne e una coppia di 37enni. Le ambizioni vanno di pari passo con l'enorme numero di messaggi ricevuti al telefonino. Ad esempio, ci sono altri tre Slam da giocare e una Davis da difendere. Ma la storia, per un attimo, si fermerà al 4 aprile 2016.