Un quarto dell’intero montepremi del tennis finisce nelle tasche di tre giocatori (Djokovic, Nadal e Federer). I premi in palio aumentano, ma ci guadagnano solo i più forti. E’ giusto?
Una visuale del campo centrale di Cordenons. Dopo il picco del 2008, il montepremi complessivo dei tornei challenger ha iniziato a diminuire
Di Riccardo Bisti – 26 aprile 2012
Qualche mese fa abbiamo realizzato un’inchiesta per cercare di capire quanto fosse remunerativo il mondo del tennis. I risultati furono scoraggianti: puoi diventare ricchissimo, ma soltanto se entri in una ristretta elite. Altrimenti devi sgomitare: è già tanto se riesci a pagarti le spese. Una delle ragioni del fenomeno è l’eccessiva disparità dei montepremi. Prendiamo il torneo di Indian Wells: ha fatto scalpore l’innalzamento del montepremi (alla faccia della crisi), con tanto di primo premio elevato a un milione di dollari, sia per il vincitore che per la vincitrice. Il problema è che l’aumento di montepremi ha riguardato quasi esclusivamente i giocatori eliminati dai quarti di finale in avanti. Lo scorso anno, il vincitore di Indian Wells (Novak Djokovic) intascò 611.000 dollari. Con il milioncino in palio nel 2012, l’aumento è del 64%. Chi perde al primo turno, invece, porta a casa 7.709 dollari contro i 7.115 dell’anno scorso. 594 dollari in più, un misero aumento dell’8%. E’ giusto? Si, almeno da un punto di vista strettamente commerciale. Chi va avanti fa vendere biglietti, occupa i palinsesti televisivi e procura gli sponsor. E’ giusto e sacrosanto che guadagni di più. Da un punto di vista “sindacale”; la questione è più discutibile. L’ATP, essendo un’associazione giocatori, dovrebbe forse tutelare i suoi associati meno ricchi anche in questo senso. Sul piano strettamente etico, beh, è evidente che non sia giusto. E a Wimbledon sono corsi ai ripari, aumentando il montepremi del 10% ma destinando gli aumenti più importanti a chi perde prima degli ottavi di finale.
USA Today ha effettuato una ricerca basandosi sui guadagni del circuito ATP dal 1990 a oggi. Mai come oggi c'è una così grande differenza tra i più forti e tutti gli altri. Lo studio, basato sul “Coefficiente GINI” (metodo universalmente accettato per definire il reddito), ha evidenziato come il gap sia cresciuto più negli ultimi tre anni che nei precedenti diciotto. Novak Djokovic, Rafael Nadal e Roger Federer si sono spartiti più del 20% dell’intero prize money negli ultimi cinque anni, con una punta del 26%. Significa che un quarto delle risorse economiche del tennis mondiale sono finiti nelle mani di tre giocatori, quando nella classifica ATP ce ne sono quasi 2.000. Prima di allora, solo un “trio” aveva sfondato il muro del 20%: accadde nel 2006 con Federer, Nadal e Roddick. Percentuali del genere non erano mai nemmeno state avvicinate negli anni passati. Gli anni di Becker, Edberg, Lendl, Sampras ed Agassi erano molto più…democratici. “E’ davvero una brutta cosa – racconta il 33enne Michael Russell, mai andato oltre la 60esima posizione in 14 anni di carriera – va avanti così da parecchi anni. Se guardi la differenza di guadagni tra il numero 10 e il numero 80 noterai delle differenze astronomiche. Negli altri sport non esiste nulla del genere”. A difesa delle attuali percentuali, tuttavia, ci sono i risultati nudi e crudi. Il trio Djokovic-Nadal-Federer ha vinto 27 degli ultimi 28 Slam (l’unica eccezione è stato lo Us Open 2009, vinto da Juan Martin Del Potro) e 20 degli ultimi 30 Masters 1000.
“Non c’è dubbio che il dominio dei primi 4 abbia influenzato la distribuzione dei prize money – dice Brad Drewett, CEO ATP dal gennaio 2012 – prima di approfondire l’argomento, posso dire che secondo me il dominio sul campo si riflette anche in questo senso”. Eppure non può essere questa l’unica spiegazione. Diversi giocatori hanno denunciato il fatto. Basti pensare che a Indian Wells il vincitore prende il doppio del finalista: una differenza di 500.000 dollari. Un altro problema riguarda la mancata crescita dei tornei challenger, i cui montepremi sono “cristallizzati” da qualche anno. Eppure ci sono diversi giocatori compresi tra le 50esima e la 100esima posizione che si costruiscono classifica e guadagni giocando questi tornei. Dal 1990 al 2011, il montepremi complessivo del circuito ATP è passato da 33,8 milioni di dollari a 80,1, con una crescita del 137%. E crescerà ancora, poiché entro qualche anno si toccheranno i 90 milioni. Nel medesimo periodo, il montepremi complessivo dei tornei challenger è salito da 4,9 a 10,2 milioni. La proporzione è abbastanza simile, ma il trend è preoccupante: dopo il picco del 2008 (12.3 milioni di montepremi complessivo), i challenger offrono sempre meno soldi. Con tutto quel che ne consegue. “Devi investire in te stesso e pregare Dio che vada tutto bene – dice il fatalista Denis Kudla, 19 anni – di certo non ci sono soldi a sufficienza”. Non è d’accordo Ryan Harrison, più attento alle logiche del marketing. Secondo lui "La gente non segue i challenger, non ama i giocatori da challenger…ed è normale che le risorse finiscano dove c’è tanto pubblico".
Il presidente del Consiglio dei Giocatori è Roger Federer, semplicemente il più ricco nella storia del tennis con oltre 60 milioni di dollari di soli premi ufficiali. Lo svizzero è consapevole della difficoltà a rifiutare le offerte economiche, soprattutto in tempi di crisi. E l’ATP, infatti, ha accettato il denaro fresco offerto da Larry Ellison. Allo stesso tempo, non è insensibile alle necessità dei giocatori meno forti. “Credo che sia positivo avere più denaro a disposizione, ma allo stesso tempo vogliamo che anche chi perde ai primi turni abbia un aumento importante. Questo sarà uno dei compiti del Consiglio”. Mai come nel 2012 si è parlato di soldi. All’Australian Open, i tennisti si sono lamentati perché i tornei del Grande Slam concedono al montepremi una percentuale dell’11-13% sui guadagni, mentre i tornei ATP si attestano sul 30%. Al di là di questo, sono sempre più i giocatori scontenti dell’attuale situazione, anche perché i migliori ricevono spesso delle “garanzie” per partecipare ad alcuni eventi. Gli “ingaggi”, vale la pena ricordarlo, sono consentiti nei tornei ATP mentre sono vietati nei challenger. “C’è bisogno che i più forti prendano in mano la situazione e diano una mano a tutti gli altri” dice Michael Russell. Bisognerà vedere queste voci verranno ascoltate. A Wimbledon hanno fatto il primo passo, ma ne seguiranno altri?
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