Terza puntata con le nostre cronache gialle. Oggi raccontiamo la parabola discendente di Roscoe Tanner, l’ex bombardiere di Chattanooga…

di Daniele Belloni

 

Sempre in tema di prigioni tedesche: come può il rampollo di una famiglia importante del Tennesse, laureato a Stanford e tennista professionista di fama mondiale, finire nella cella numero 155 del carcere di Karlsruhe?

Se lo chiede Roscoe Tanner in “Double fall: my rise and fall, and my road back”, la sua autobiografi a. L’ex bombardiere di Chattanooga che fece impazzire Borg nella finale di Wimbledon 1979 sparando un servizio dietro l’altro, con quel lancio di palla corto che nascondeva effetto e traiettoria del micidiale colpo mancino, a un certo punto della vita si sentì, dice lui, “inseguito dai debiti come il pifferaio di Hamelin da topi e ratti”.

Lui che una volta era salito sulla cima più alta di uno slam, Australian Open 1977, e che comunque due mesi dopo Wimbledon si era ritrovato davanti l’orso Borg, a New York, e di nuovo lo aveva crivellato di ace riuscendo infine a batterlo, come aveva potuto declinare fino al ruolo di misero truffatore e triste figurante nella commedia della vita?

Si era ritirato dal circuito nel 1984, a 33 anni, infilando l’uscita secondaria dei tornei veterani, ma di nuovo riappariva nei titoli dei giornali per imprese che poco avevano di nobile: venne arrestato in un bordello dove aveva cercato di pagare con un assegno a vuoto, poi comprò uno yacht su cui accese un mutuo e quindi staccò un altro assegno a vuoto per pagare la barca.

E poi una figlia non riconosciuta, battaglie legali per gli alimenti, scuole di tennis che fallivano una via l’altra, e le torme di inseguitori che si infittivano. “È il contrario di Mida – confi dò una volta Arthur Ashe allo Scriba Clerici – ogni cosa che tocca, la trasforma in uno schifo”.

Certo, stringe il cuore immaginarlo mentre varca la soglia di quella cella e, rivolgendosi a Eddie, un giovane nigeriano dentro per droga, dire: “Hello, I’m Roscoe” e nella mente – forse – aggiungere “una volta mi chiamavano the bomber”.

 

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