L’INTERVISTA – A colloquio con Stefano Napolitano, uno dei baby italiani più promettenti. Seguito da papà Cosimo, a (quasi) 18 anni mostra una maturità impressionante.
Stefano Napolitano è attualmente numero 878 ATP
(Foto Antonio Milesi – E' di Milesi anche la foto in home page)
Di Riccardo Bisti – 28 febbraio 2013
Qualche anno fa, Cosimo Napolitano disse: “Sono d’accordo con Toni Nadal quando dice che il tennis è una parabola breve: poi ci sarà da affrontare la vita. Magari agiata, se hai avuto successo, ma comunque ricca di insidie. Quindi, la vità da tennista deve saperti formare come uomo, oltre che come sportivo”. Oggi può essere orgoglioso, insieme alla moglie, del suo lavoro. Il figlio Stefano è uno dei giovani italiani più interessanti. Classe 1995, fa parte di un quartetto che nei sogni degli appassionati dovrebbero diventare i Quattro Moschettieri del tennis italiano. Oltre a lui, ci sono Matteo Donati (pure lui del 1995), Gianluigi Quinzi e Filippo Baldi (classe 1996). Quando parli con Stefano Napolitano resti impressionato, quasi affascinato, dal suo modo di porsi e ragionare. Possibile che questo lungagnone nato a Biella abbia appena 17 anni? Parla con una proprietà di linguaggio impressionante e ha un atteggiamento talmente maturo da sembrare surreale. Da junior è stato top 10 (quest’anno potrebbe giocare ancora i tornei giovanili), e tiene a precisare di esserci riuscito dopo una lunga gavetta. Adesso si è tuffato nel mondo pro ed è consapevole che il percorso sarà lungo e accidentato. Le ambizioni sono importanti, ma per lui contano anche altre cose. Papà Cosimo teneva molto a un punto: creare un giocatore, ma anche un uomo come si deve. Stefano ha recepito il messaggio: oggi è numero 878 ATP e sgomita nel mondo future, tra Venezuela, Turchia e Ucraina. La crescita è appena cominciata.
Devi pagare dazio. A ogni nuovo personaggio si chiede la sua storia. Quando ha iniziato, chi lo segue, eccetera eccetera. Adesso tocca a te.
La mia carriera è indissolubilmente legata a mio padre Cosimo. A parte la collaborazione con Riccardo Piatti e Massimo Sartori, appena iniziata, sono sempre stato seguito da lui e continuiamo a lavorare insieme. Ho iniziato a giocare perchè papà è stato direttore (oggi è presidente) del circolo “I Faggi” di Biella. Praticamente sono nato lì e già a 2-3 anni ho tirato le prime pallate. Fino a 8-10 anni il mio sviluppo è stato molto incerto, perchè amavo giocare a calcio e praticavo entrambi gli sport. Poi, verso gli 11, ho scelto il tennis. Mio padre ci teneva molto, a me piaceva, così ho preso questa decisione. Fino a 12 anni ho giocato pochi tornei. A quell’età ho vinto la Lambertenghi (i Campionati italiani Under 12, ndr) e mi sono reso conto che tra i migliori potevo starci anch’io. Verso i 14 ho iniziato a fare attività internazionale: dopo tanta trafila e gavetta sono arrivato a giocare gli Slam Junior. Adesso si riparte con la gavetta, stavolta nel mondo pro.
Quali sono i lati positivi e quelli negativi di essere allenato dal padre? Come gestite l’intreccio tra la vicenda personale e quella tecnica? Immagino che ti abbiano fatto questa domanda un mucchio di volte…
Tantissime. Le difficoltà ci sono, ma ci sono anche tanti lati positivi. Avere qualcuno della famiglia sempre al tuo fianco è un vantaggio da non sottovalutare. Dal punto di vista tecnico è molto preparato, non potrei chiedere di meglio. Il fatto che sia anche mio padre è solo un punto a favore. Ovviamente ci sono anche i “litigi”, e sono anche abbastanza tosti. Ma è giusto che sia così. Quando ti segue un genitore, ogni emozione è amplificata. Tantissimi ragazzi hanno provato a essere seguiti dal padre o dalla madre, poi non ce l’hanno fatta perchè andava oltre la loro sopportazione. Per noi non è così. In campo è il mio coach, fuori dal campo è mio padre. Credo che andremo avanti ancora per un bel po’.
Come è nata e come si sta sviluppando la collaborazione con Piatti e Sartori?
Ho cambiato preparatore atletico. Adesso mi segue Dalibor Sirola, ragazzo croato diventato famoso perchè è l’artefice di tanti miglioramenti di Andreas Seppi. Mi avevano parlato bene di lui, l'anno scorso ho avuto tanti infortuni, avevo voglia di cambiare aria…così questo inverno sono andato ad allenarmi a Bordighera. Comunque conoscevamo sia Riccardo che Massimo: quando ero piccolo ci davano qualche consiglio sull’attività e la programmazione. Negli anni scorsi mi allenavo a Tirrenia: mi trovavo bene, ma probabilmente era giunto il momento di provare qualcosa di nuovo e acquisire qualche informazione in più.
Cosa ti spaventa del passaggio da junior a professionista?
Addirittura spaventa?
Qualcosa a cui dovrai stare particolarmente attento.
Tanti tornei junior, soprattutto gli Slam, sono già molto “alti” da un punto di vista professionale. Questo è importante, ti prepara a un passaggio più facile nel mondo pro. In verità non mi spaventa nulla: so che ci vorrà tanto tempo, ormai non ci sono più giocatori in grado di entrare tra i topo 100 prima dei 20 anni. Ci vuole soltanto tanta pazienza, tanto lavoro e si prova ad arrivare in cima il prima possibile, pur sapendo che non deve esserci troppa fretta.
Si dice che i primi grandi ostacoli per un giovane tennista siano la prima macchina e la prima fidanzata. Come siamo messi da questo punto di vista?
Partiamo dalla macchina: dovrei prendere la patente quest’anno, ma non ho ancora aperto un libro e non ho ancora fatto una guida, quindi sono un po’ in ritardo. Come ragazza…al momento sto bene così, ma non credo che ci siano problemi. Lo sviluppo della mia vita è troppo “normale” per creare squilibri così grandi da dire: ‘Oddio, arriva la prima ragazza, ci cado dentro, non ne esco più e smetto di giocare a tennis’. Per il mio modo di pensare è una cosa abbastanza fuori dal mondo.
La tua giornata tipo?
Nel periodo di preparazione mi alleno 6-7 ore al giorno per sei giorni a settimana, domenica esclusa. Dopo la colazione, inizio a fare attività verso le 8.30-9. Faccio due ore di atletica, poi gioco 90-120 minuti a tennis. Dopo pranzo faccio grossomodo le stesse cose: un’altra seduta di atletica e una di tennis. La durata, ovviamente, dipende dal periodo e dal tipo di lavoro.
A livello economico come te la cavi? L’attività internazionale costa parecchio…
Le difficoltà del tennis le conosciamo tutti. L’attività di un ragazzo è molto costosa. Per fortuna la FIT mi dà un contributo, quindi una mano arriva da lì. Molte volte mamma e papà mettono mano al portafoglio affinchè io possa giocare a tennis. Questo è uno stimolo in più a fare bene ogni volta che scendo in campo. L’aspetto economico è davvero importante. Insomma, si trova un modo per far quadrare i conti anche quando si fa tanta attività.
La scuola?
Sono al quarto anno del Liceo Linguistico. Ovviamente sono iscritto a una scuola privata. Quando non sono ai tornei provo a frequentare il più possibile, poi a fine anno devo sostenere gli esami.
Sentendoti parlare, ragionare, pensare, sembri uno che ama riflettere, che ha una sua idea un po’ su tutto…
Si, direi che è un’idea abbastanza azzeccata. Mi piace pensare e costruirmi un’opinione sulle cose.
A livello tennistico, pensi che possa essere un vantaggio? Non è che a volte può dare una mano essere più “stupidi”?
Non lo so. Probabilmente l’essere più incosciente, più “stupido”, fa affrontare in modo diverso i problemi. Magari non ci pensi e vivi meglio, sei più rilassato. A me piace molto pensare, riflettere. Mi definirei un ragazzo molto riflessivo. In campo, mi piace provare a capire il mio avversario non solo dal punto di vista tecnico, ma anche mentale. Sinceramente non so se questo possa darmi dei vantaggi. Spero di si.
Cosa pensi del clamore mediatico attorno a Gianluigi Quinzi? Può essere un vantaggio per te e gli altri ragazzi, così state meno sotto l’occhio dei riflettori? E se fosse successo a te, come l’avresti vissuto?
Conosco poco questo clamore, anche perchè cerco di starne fuori il più possibile. So che ne parlano tutti. Io posso dire che Gianluigi gioca tanto bene a tennis e ha ottenuto risultati incredibili…non so se tutto questo possa creargli dei problemi. Io lo valuto come giocatore e so che è molto forte. Non so come avrei reagito se fosse capitato a me, ma non credo che possa mai succedermi una cosa del genere, anche perchè l’ambiente attorno a me è molto normale, familiare…si, direi ”normale”. Gianluigi è fortissimo, ci sta che attiri molta attenzione. E’ una cosa che riguarda lui: i problemi – ammesso che siano problemi – sono suoi. Io so solo che gioca molto bene.
Vedendoti giocare, ricordi vagamente Juan Martin Del Potro. Può essere? Chi sono i tuoi idoli?
Magari! Ci metterei la firma per giocare come Del Potro. Il mio idolo indiscusso è Roger Federer. Sono nato nel 1995, lui è diventato campione nel 2003, proprio quando mi stavo appassionando. Da quando vivo di tennis, bene o male c’è sempre stato lui. Quando si ritirerà sarà abbastanza uno shock, soprattutto per me. Ho visto da vicino l’evoluzione di Novak Djokovic, perchè si è allenato per un periodo con Riccardo Piatti. Lo stesso Piatti mi ha raccontato qualche aneddoto su di lui, ho visto i cambiamenti a livello tecnico…mi piace molto. Ma poi, suvvia, come fanno a non piacerti questi campioni? Prendi Murray: tutti dicono che non è in grado di migliorarsi. Poi l’ho visto giocare a Melbourne, è una cosa incredibile. Fisicamente è migliorato tanto, ha messo a posto il dritto, serve benissimo, ha un rovescio naturale…ti possono piacere tutti, poi ovviamente il mio preferito è Federer.
Ti sei dato una scadenza? Hai riflettuto su cosa potresti fare se a 22-23 anni non fossi ancora riuscito ad arrivare? Ovviamente sei autorizzato a toccarti…
Raonic, 23 anni, è ancora considerato un giovane. Poi chi c’è? Dimitrov, Tomic, Goffin, Vesely (anche se è più indietro)…insomma, sono pochissimi i ragazzi che arrivano così presto ad alto livello. Voglio dire: se non ci arrivi a 21, 22 anni, ci arrivi a 25, ovviamente se lavori in un certo modo. Se non ci arrivi, è chiaro, devi farti delle domande. Tuttavia io ho quasi 18 anni: spero di essere competitivo per giocare a quei livelli tra tre anni.
Hobby extratennistici?
Sono un ragazzo molto tranquillo e non mi piace la confusione. Sono un grande appassionato di basket. Amo leggere e ascoltare musica, ma non adoro andare in discoteca e stare in mezzo a un mucchio di gente. Preferisco stare a casa, con le persone giuste, godendomi in tranquillità il mio tempo libero.
Tra 10-15 anni, preferiresti essere ricordato come Grande Uomo o come Grande Giocatore?
Per come mi hanno cresciuto, credo che le cose vadano abbastanza di pari passo. Mi spiego: diventare un ottimo giocatore ma un pessimo uomo non rientra tra i miei obiettivi. Mi hanno cresciuto con dei valori importanti, cercando di farmi diventare un ragazzo il più educato possibile. Credo – spero! – di essere ricordato tra 10-15 anni per essere stato un grande uomo piuttosto che un buon giocatore.
Post correlati
Ascolti tv: fra tennis e calcio c’è partita
Gli ultimi match di cartello di Serie A trasmessi in chiaro hanno registrato ascolti che tratteggiano una realtà, se...