A un certo punto, il suo sangue era come se fosse diventato melassa. Febbre, brividi e fatica travolgente, anche per fare le cose più elementari. Robin Soderling stava giocando Wimbledon, nel 2011. Però il sintomo sembrava passeggero, tanto che la settimana dopo giocò e vinse il torneo casalingo di Bastad. In finale lasciò quattro giochi a David Ferrer e nessuno, davvero nessuno, pensava che sarebbe stato il suo ultimo match. I sintomi tornarono più forti di prima e lo svedese ha messo in stand-by la sua carriera. Prima un forfait dopo l'altro, poi uno stop a tempo indeterminato, la speranza sempre più flebile…fino all'annuncio definitivo, in una lettera pubblicata dal sito svedese www.tennis.se. Ha avuto bisogno di oltre 1600 giorni per accettare l'idea, per capire che poteva continuare ad amare il tennis anche in altri ruoli. Oggi fa il direttore del torneo ATP di Stoccolma e ha messo in piedi un'azienda di palle da tennis, che da poco produce anche corde. L'annuncio è arrivato oggi, a un pugno di ore dal Natale, ma Robin aveva già capito tutto lo scorso anno. Si sentiva meglio e ha provato a riprendere il suo vecchio programma di allenamento. Pari pari. E' bastato qualche giorno affinché il suo corpo respingesse l'idea. Come se non bastassero le sensazioni fisiche, un altro episodio lo ha convinto che il tennis faceva parte del passato. Era seduto sul divano di casa, guardava lo Us Open. Ma a un certo punto è arrivata la sua figlia di due anni. “Voleva vedere Dora, e io l'ho accontentata. Mia figlia non sa che ero un giocatore, non mi ha mai visto in campo. Però ha già impugnato una racchetta: se le chiedete chi gioca a tennis in famiglia, di sicuro risponderà che lei è l'unica”.
L'AMICO DI NESSUNO
Prima di essere travolto dalla “malattia del bacio”; Soderling si era infilato nell'elite dei top players. L'immaginario collettivo ricorda la clamorosa vittoria su Rafael Nadal al Roland Garros. Per anni, è stata l'unica sconfitta dello spagnolo a Parigi. Era il nuvoloso pomeriggio del 31 maggio 2009, ottavi di finale. Bum bum bum, con le sue catenate da fondo mise alla frusta le fragili ginocchia dello spagnolo. Si scatenarono le ironie sul suo nome di battesimo. Robin come Robin Hood, l'arciere che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Soderling rubava ai ricchi per dare a se stesso, sotto la sapiente guida di Magnus Norman. Quando iniziarono a collaborare, Soderling era un buon giocatore, con grandi picchi di rendimento, ma poco più che un rincalzo ai migliori. “Buttava via tante partite – raccontò Norman – non riusciva a gestire le cose che non dipendevano da lui: il vento, gli spettatori, qualsiasi cosa….così ho lavorato sulla sua mentalità, cercando di renderla un punto di forza”. All'inizio fu difficile. Due caratteri forti non si trovavano. “Credo che a un certo punto si sia stufato di sentire la mia voce. Però analizzava le mie parole, voleva migliorare sul serio. Dopo ogni discussione tornava da me, diceva di non essere d'accordo ma mi chiedeva di spiegargli perché la pensavo così. E parlavamo ancora, fino a trovare una strategia comune”. Non era facile andare d'accordo con Soderling: per un lungo periodo, non ha avuto amici nel circuito. “Non sono mica entrato nel tour per fare amicizia!” disse una volta. Persino un bonaccione come Andreas Seppi, una volta disse che era il collega meno simpatico. Ma nel biennio 2009-2011, quando il concetto dei Big Four era ancor più solido di oggi, Soderling fu l'unico a scardinarlo con una certa continuità. Ha giocato due finali consecutive al Roland Garros, anche non è mai andato vicino a vincerle. Nel 2009 lasciò strada a Federer (senza lo svedese, probabilmente Parigi sarebbe rimasta un tabù per Roger…), l'anno dopo fu travolto dalla voglia di rivincita di Nadal. Si consolò a novembre, qualche chilometro più in là, vincendo il Masters 1000 di Parigi Bercy. Chiuse il 2010 con grandi speranze. Bjorn Borg disse che era ormai pronto per vincere uno Slam. “Sarà tra i favoriti in qualsiasi torneo”. Lui assunse Claudio Pistolesi e l'inizio fu travolgente, con tre vittorie ATP nei primi due mesi. Poi la collaborazione si è interrotta prima del Roland Garros e al suo angolo è arrivato Frederik Rosengren.
UNA NUOVA SCOPERTA
Il tecnico svedese non ha avuto modo di allenarlo. Dopo Bastad, decimo titolo in carriera, è iniziato il calvario. Ha impiegato tanto a rassegnarsi, forse perché memore di quando era un bambino nella piccola Tibro, cittadina incastonata tra i laghi Vattern e Vanern. Figlio di un avvocato e di una casalinga, andava a giocare in bicicletta. Neanche i freddi inverni svedesi lo spaventavano. Si era creato un buon gruppo di giocatori, tra cui il doppista Johan Brunstrom. Si sfidavano in battaglie infinite ma Soderling vinceva sempre, mostrando una forte personalità e uno spirito agonistico impressionante. Non gli hanno mai presentato la rassegnazione: per questo, prima che la mononucleosi si infilasse nel suo corpo, aveva vinto tutte le sue battaglie. Ma adesso sono cambiate le priorità. Si è sposato con Jenni Mostrom, compagna talmente importante da non abbandonare mai la fede nuziale: durante le partite, pur di averla con sé, la metteva tra i lacci delle scarpe. Il 12 ottobre 2012 è nata Olivia: 520 anni prima, Cristoforo Colombo aveva scoperto l'America. Quel giorno, Soderling scoprì di poter essere felice anche senza tirare pallate, senza il sapore (un po' sadico) di far correre a più non posso gli avversari. L'ha scoperto, ma ha impiegato tre anni per accettarlo. Scrivere le seguenti parole deve essergli costato parecchio.
“Con questa lettera voglio informarvi che ho deciso di mettere fine alla mia carriera. Nel 2011 ho contratto la mononucleosi e non mi sono reso conto della gravità del problema. Ho continuato ad allenarmi e giocare con il virus nel corpo, e questo ha fatto sì che il problema diventasse ancora più grave. Da allora ho lottato per recuperare, ma l'infermità mi ha impedito di allenarmi al 100% e dovevo riposare dopo qualsiasi sforzo. In alcuni momenti mi sentivo talmente male che non riuscivo ad alzarmi dal letto. L'anno scorso, tuttavia, la mia salute è migliorata e ho potuto aumentare le mie dosi di allenamento, però le fasi di recupero continuano a non piacermi. Per giocare a tennis è necessaria una forma fisica costante che io non posso avere. In tutti questi anni ho creduto di poter tornare nell'elite, ma mi sono reso conto che non sarei stato capace di farlo. Per questo ho deciso di chiudere qui la mia carriera”