AUSTRALIAN OPEN – Stanislas Wawrinka vince l'Australian Open, aiutato da un problema alla schiena di Rafa Nadal. Ma se lo è meritato. E' finita la dittatura?
Rafael Nadal ha fallito l'aggancio ai 14 Slam di Pete Sampras
Di Riccardo Bisti – 26 gennaio 2014
Lo sapeva benissimo. Nel momento in cui ha sentito dolore alla schiena, Rafael Nadal ha capito che la finale dell’Australian Open era segnata. La era nell’esito, ma anche nelle chiacchiere post-match. Tutti, ma proprio tutti, la ricorderanno come la finale vinta da Stanislas Wawrinka “perché Nadal si è fatto male”. Tutto sommato, sarà un pensiero corretto. Difficile pensare a un successo dello svizzero se Rafa fosse stato al 100%, anche se il dubbio resta in virtù di un primo set stellare. Quando Rafa ha capito che avrebbe perso, si è trovato di fronte a un bivio. Ritirarsi oppure andare avanti? Il ritiro avrebbe posto l’accento su di lui e oscurato i riflettori sullo svizzero, autore di un torneo spettacolare e strameritato vincitore. E’ il secondo Slam vinto da un “extra Fab Four” negli ultimi nove anni, ma c’è una sensazione particolare. Si respira aria nuova, quella che non si sentiva quando Juan Martin Del Potro vinse lo Us Open 2009. Forse l’oligarchia è terminata e il tennis può avviarsi verso un regime più democratico, certificato dalla terza posizione ATP che “Stan the Man” intascherà nel nuovo ranking ATP. Ma torniamo a Nadal: ritirandosi, avrebbe alimentato l’impressione di fuggire, di non assumersi la responsabilità della sconfitta. Allora ha pensato al pubblico, in tribuna e in TV, e a un giocatore con cui ha un ottimo rapporto. E’ rimasto in campo, sapendo che avrebbe perso, per lasciare allo svizzero la libidine psicologica del matchpoint vincente. Altruismo, certo. Ma anche un pizzico d’egoismo. Restando in campo, ha evitato i fischi (giusti o meno, non sappiamo) che inevitabilmente gli sarebbero piovuti addosso. A Melbourne Park non hanno ancora digerito il ritiro di Justine Henin nella finale del 2006 contro Amelie Mauresmo. E così Rafa ha accettato il destino, con faticosa ma apprezzabile dignità.
Ci sono volute 2 ore e 21 minuti per certificare il 6-3 6-2 3-6 6-3 che forse apre una nuova epoca. E' stata partita vera fino al 6-3 2-0 per Wawrinka. Nessuna paura per la prima finale Slam, nessuna scoria psicologica per le precedenti sconfitte. Break al quarto gioco e un pizzico di fortuna nel nono, quando Nadal si è trovato 0-40 sul suo servizio ma non ha sfruttato tre seconde palle, sbagliando tre risposte di fila. Forse è la prima volta che gli accade. Poi la schiena è andata KO. Niente ginocchio, niente vescica…stavolta si è fatto male laddove non aveva mai avuto problemi. Il rientro in campo è stato pietoso, triste. Nessun ruggito al momento di colpire, un servizio che a malapena toccava i 150 km/h e l’incapacità di spostarsi, soprattutto in laterale e verso destra. Wawrinka lo ha capito e lo ha spesso infilzato da quella parte, soprattutto con il servizio (alla fine tirerà 19 ace). Scene francamente pietose. Lo sguardo di Rafa era perso, come quello di un agnellino incapace di trovare la via di casa. Per un metodico come lui, è peggio che sentirsi mancare la terra da sotto ai piedi. Si guardava intorno, spaurito e impotente. Sul 5-1, ha anche fatto serve and volley su una seconda palla a 100 km/h. Segno di una confusione assoluta. Quando ha perso il secondo set, ha dato l’impressione di aver pensato al ritiro. Forse per un secondo lo ha fatto. Ma ha cacciato via il pensiero ed è sceso in campo per il terzo set, fronteggiando subito due palle break. Poi è successo l’incredibile. Wawrinka ha iniziato a pensare a cosa succedeva dall’altra parte del campo. E ha iniziato a commettere un errore dopo l’altro. Dopo un torneo spettacolare, vissuto da dominatore, pure lui ha mostrato tutte le sue fragilità. Palle in rete, stecche clamorose, rovesci fuori di metri. Ha buttato via due palle break nel primo game, poi ha perso il servizio per la prima volta. Nadal, incredulo, ha continuato a giocare a scartamento ridotto, nella speranza che la partita gli venisse regalata. Perché lui, da solo, non l’avrebbe mai vinta.
Il match è diventato surreale. Brutto sul piano tecnico, con un mucchio di errori da una parte e con i cerotti dall’altra. Eppure appassionante, perché si stava consumando un dramma sportivo. Giocare contro un avversario menomato è molto difficile. Se poi si chiama Rafael Nadal e sei in una finale Slam, gli effetti possono essere devastanti. Ad esempio, mettere in mezzo alla rete un rovescio (il suo fantastico rovescio!) in risposta a una seconda palla a 110 km/h. Sul 5-3 al terzo, Wawrinka ha fatto questo. E il match è scivolato al quarto. Ma neanche il combustibile psicologico ha aumentato i giri del Motore-Nadal. Rafa si è assestato su una velocità di crociera intorno al 50%. Non di più, davvero. Ha sperato che bastasse. Il servizio è diventato leggermente più veloce (165-170 km/h con la prima), le gambe hanno girato un pelino meglio, ma di più non riusciva. Non era credibile che il black out di Wawrinka proseguisse per tutta la partita. Sarebbe stato il più grande suicidio agonistico nella storia del tennis. Rafa ha tenuto fino al 2-2, sempre in un clima-fantasy, poi ha perso di nuovo il servizio dopo aver annullato 9 palle break di fila da inizio terzo set. Stan gli ha regalato il controbreak, ma sul 4-3 ha capito che doveva rompere gli indugi. Finalmente, ha ripreso a giocare come nel primo set. E in pochi minuti ha archiviato la pratica, chiudendo con un dritto vincente. Nessuna esaltazione, nessun urlo, nessun lancio di racchetta. Soltanto tanta gioia interiore, un polsino regalato al pubblico e un abbraccio al suo staff, capitanato da Magnus Norman, e un saluto alla moglie Ilham durante il discorso post-premiazione. A lei e alla figlia. “Arrivo tra un paio di giorni, aspettatemi”. Wawrinka merita tutti gli onori. Soltanto la casualità ha trasformato la finale in un match surreale. Pensate se avesse pescato Nadal nei quarti e Djokovic in finale. Oggi sarebbe il tempo di elogi sperticati. Elogi che devono esserci, perché l’impresa contro Djokovic resta il match del torneo, senza sottovalutare la capacità di aver superato la “Prova del 9” contro Berdych. In finale ha raccolto quello che la sorte gli aveva negato in passato. Anche se non ama mostrarlo, è un essere umano anche lui. E ha avuto paura di raccogliere l’ultimo frutto, come tutti quelli che non sono abituati ad essere felici e hanno quasi paura a volare troppo alto. Ma alla fine lo ha azzannato, aprendo la strada a una possibile rivoluzione. Da domani, da Indian Wells, dalla terra battuta, possiamo anche aspettarci la Restaurazione. Però un cambiamento non è più un’utopia.
Nel vedere il comportamento di Nadal durante la premiazione, in cui il Norman Brookes Trophy è stato consegnato da Pete Sampras, è venuta in mente la sua autobiografia. Perché l’ha scritta così presto? Questo Australian Open avrebbe meritato un capitolo e un racconto – dettagliato, sincero – delle sue emozioni. Voleva piangere. Le telecamere di Channel 7, impietose, hanno provato a scavare nel suo volto. Ma lui ha resistito, con una dignità straordinaria. Un Rafa in lacrime avrebbe impennato l’audience, ma evidentemente gli hanno insegnato che non deve farlo. Magari avrà pianto negli spogliatoi, così come dopo la finale di Wimbledon 2007. Ha partecipato alla premiazione con lo sguardo perso, ma ha dato il giusto tributo a Wawrinka e pronunciato un discorso banale ma dignitoso, trovando anche la forza di sorridere. Una grande differenza rispetto a cinque anni fa, quando fu Federer a scoppiare in lacrime e lui dovette consolarlo. No, Rafa ha accettato il verdetto. Non ha parlato di metaforiche ‘uccisioni’ e non ha fatto cenno all’infortunio alla schiena. Da vero campione. Ma il campione, per stavolta, si chiama Stanislas Wawrinka. E non bisogna permettere di pensare che abbia vinto per fortuna o per circostanze fortunate. Questo Slam è voluto, conquistato, meritato. Senza ombra di dubbio.
AUSTRALIAN OPEN 2014 – FINALE MASCHILE
Stanislas Wawrinka (SUI) b. Rafael Nadal (SPA) 6-3 6-2 3-6 6-3
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