Il ritiro dei fratelli Black ha fatto sparire lo Zimbabwe dalla geografia del tennis, ma un torneo future ha riacceso la speranza. E se dal letame nascessero nuovi fiori?
Wayne Black e Kevin Ullyett festeggiano il trionfo all’Australian Open 2005
Di Riccardo Bisti – 4 dicembre 2012
La globalizzazione ha colpito anche il tennis. Decine di paesi esprimono ottimi giocatori, in un fragoroso "United Colors of Tennis". Ma c'è un’area dove il nostro mondo non riesce a sfondare: l’Africa nera. Se i paesi arabi (Marocco su tutti) hanno espresso buoni tennisti, senza contare la grande tradizione del Sud Africa, le nazioni più povere non riescono a emergere. Ci si ricorda di loro soltanto durante Olimpiadi o Mondiali di atletica leggera. La storia ci consegna pochissimi giocatori di livello: il più famoso è il senegalese Yahiya Doumbia, un passato da top-100 e due incredibili vittorie ATP a distanza di sette anni (Lione 1988 e Bordeaux 1995). Qualche fanatico ricorderà il keniano Paul Wekesa, discreto giocatore degli anni 90, capace di salire al numero 100 ATP anche grazie all’esperienza maturata nei college americani. Tutto qui. Quando il problema è trovare l'acqua da bere, il tennis passa in secondo (terzo, quarto) piano. Qualche potenziale campione sarà nato anche in Burkina Faso, Burundi o Niger, ma non ha avuto modo di scoprirlo. Negli ultimi 20 anni c’è stata un’eccezione. I fratelli Black (Byron, Wayne e Cara), bianchissimi a dispetto del nome, hanno portato lo Zimbabwe nella geografia del tennis. Sono stati ottimi singolaristi e grandi doppisti. Byron, il più forte, tirava dritto e rovescio a due mani ed è salito al numero 22 ATP, raggiungendo i quarti a Wimbledon e allo Us Open. Cara è stata numero 31, Wayne numero 69. Ma è in doppio che hanno colto i risultati più importanti, con otto titoli del Grande Slam (uno Byron, due Wayne e addirittura cinque Cara. Quest’ultima ha addirittura ottenuto il Career Grand Slam in doppio misto). Senza dimenticare che i due Slam conquistati da Wayne Black sono giunti in coppia con Kevin Ullyett, zimbabwese pure lui.
E’ legata a questo paese anche una delle pagine più tristi nella storia del tennis italiano. Nel 2003, l’Italia di Volandri, Sanguinetti, Galimberti e Bertolini perse ad Harare e sprofondò in Serie C. Persino il satellite decise di fare le bizze e in Italia non giunse alcuna immagine. Ma il tempo cambia le cose, e mentre l’Italia ha saputo riprendersi (sia pure tra indicibili sofferenze) un posto nel World Group, il ritiro dei fratelli Black (l’ultima ad alzare bandiera bianca è stata Cara) ha fatto sprofondare lo Zimbabwe nel nulla tennistico. Ma qualcosa potrebbe cambiare. E dalle parti di Harare sono entusiasti, tanto da ricordare la storica frase di Nelson Mandela: “La più grande gloria nella vita non sta nel non cadere mai, ma nella capacità di rialzarsi dopo essere caduti”. Per sette anni, il paese non aveva ospitato neanche un torneo internazionale. La scorsa settimana, invece, l’Harare Sports Club ha ospitato un torneo future. Organizzare tornei internazionali è fondamentale, soprattutto per i paesi più poveri. Si offre la possibilità di conquistare punti, esperienza e qualche dollaro senza spendere una fortuna. Negli ultimi anni, i tennisti dello Zimbabwe erano costretti ad emigrare. Ma i costi, sempre più elevati, hanno costretto al ritiro i più promettenti. Qualcuno c’era: Genius Chidzikwe, Martin Dzuwa, Nigel Badza e Gwinyai Tongoona tra gli uomini, Fadzai Mawisire e Fadzai Masiyazi tra le donne. Magari tra loro non c'era un futuro top 10, ma l'assenza di risorse ha ostacolato la loro crescita. Quasi tutti si sono riciclati come maestri, ma il problema-povertà sarà sempre lì, anche per le nuove generazioni, in un triste circolo vizioso. Lo Zimbabwe sta attraversando una crisi spaventosa, in cui circa l’80% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Dopo una serie di manovre disastrose, il paese dipende dagli aiuti internazionali e ha il 231.000.000% di inflazione. Sembra uno scherzo, ma è un dato reale. E il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 94%. La crisi (anzi, il dramma) si vede in Coppa Davis, dove il paese è franato nel Gruppo III (una sorta di Serie D), dopo che 15 anni fa aveva raggiunto un clamoroso quarto di finale nel World Group grazie all’impresa in Australia, in quella che resta una delle più grandi sorprese dell’Era Open. Il sogno si interruppe a Prato contro gli azzurri. In campo femminile, oggi , non ci sono giocatrici a sufficienza per creare un team di Fed Cup.
Si contano sulle dita di una mano i giocatori che possono viaggiare e accumulare qualche punto. Tra loro si segnalano Takanyi Garanganga e Benjamin Block. Garanganga, in questo momento, è il più forte tennista del paese, ma anche lui inizia ad avere qualche problema. Anche perchè il suo unico sponsor sono i genitori. Lo scorso anno si è aggiudicato la medaglia d’oro agli All-African Games, ma non riesce a guadagnare e anche lui potrebbe scegliere il ritiro e dedicarsi ad altro. C’è solo un modo per dare agli zimbabwesi la possibilità di crescere: organizzare alcuni tornei futures, con la possibilità di misurarsi con giocatori di livello. Il torneo della scorsa settimana è stato preso d’assalto dai locali: ce n'erano otto nelle qualificazioni e sette nel tabellone principale. La bella notizia è che Garanganga si è aggiudicato il titolo, conquistando 18 punti che gli daranno ossigeno e vigore. In tanti sperano ce Twenty Third Systems Century (sponsor del torneo) decida di aggiungere un evento femminile, dando una chance anche alle ragazze. Il motto dell’azienda è “Highway to business excellence” (Autostrada per l’eccellenza negli affari). Starà a loro provare ad aprire una strada, anche di campagna, per consentire ai ragazzi di provarci seriamente. In tutto questo, i fratelli Black cosa fanno? Non stanno a guardare. Sono sempre più coinvolti nell’attività federale, soprattutto quella rivolta ai giovani. Cliff Nhokwara, amministratore di Tennis Zimbabwe, ha detto che i Black sono coinvolti nei programmi di sviluppo: “Wayne è sempre nei nostri uffici, e a volte allena i migliori giovani. Suo fratello Byron, invece, è stato utilissimo con la donazione di attrezzatura tennistica proveniente dall’estero. Il materiale tennistico, scarpe comprese, è difficile da trovare nel nostro paese. E loro ci aiutano”. Cara ha effettuato alcune clinic, il cui scopo è individuare nuovi talenti. “Non sarà facile tornare nel Gruppo Mondiale di Coppa Davis – dice Nhokwara – ma piano piano proveremo a tornarci”. L’obiettivo è (troppo?) ambizioso, ma un piccolo torneo future ha riacceso la speranza. D’altra parte, Fabrizio De Andrè non cantava che “dal letame nascono i fiori”?
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