Diversi i percorsi e le scelte finora intraprese da quelli che sono unanimemente riconosciuti come i migliori prospetti italiani da molto tempo a questa parte: a partire dalla scelta di trascorrere l’adolescenza a diretto contatto con i propri affetti o di lasciarli fisicamente lontani. Si scontrano il rovescio classico quello bimane, il vincitore di Slam junior (Musetti all’Australian Open) e il primo classe 2001 capace di vincere un challenger (Sinner a Bergamo). Mare versus monti, moro versus biondo, sfrontatezza versus riservatezza. Negli angoli, due giovani maestri, anch’essi caratterialmente molto diversi, che stanno lavorando con continuità sui due giovani talenti: Simone Tartarini per il toscano e Andrea Volpini per l’altoatesino. La loro parziale inesperienza a questi livelli è compensata dall’apporto offerto dalla premiata ditta Piatti&Sartori per Sinner, e Patrick Mouratoglou per Musetti, i cui consigli sono tenuti in grande considerazione.
Partendo da caratteristiche e storie così differenti, il divertimento dovrebbe essere garantito, pur ricordando innanzitutto che si giocano una wild card, non certo la carriera. E che potrebbe anche essere l’ultima, al massimo la penultima, volta che sono costretti a passare dal torneo di pre-qualificazione. Il match ha meritato la diretta di Supertennis, scavalcando le dirette del WTA di Madrid. Scelta ragionevole e condivisibile. Musetti è fuor di dubbio un grande talento, nel più classico significato che alle nostre latitudini diamo alla parola. Quando entra in campo si avvolge nel tennis e fa diventare quel rettangolo il suo ambiente naturale, come un animale nella foresta. Ogni movimento, ogni espressione, ogni gesto appare naturale, come non si può insegnare, quasi gli fosse stato donato da Dio. Anche Sinner è un talento precoce quanto eccezionale, anche se in un modo diverso, forse meno affascinante, per noi guardoni del gioco. Ma sarà a causa del look improbabile o quell’espressione un po’ così, appare meno audace. Un’impressione errata e spesso fatale per i suoi avversari. Più che un felino (come appare l’altro), Jannik (il nome non ha nulla a che vedere con Noah) ricorda una preda nell’atto di trasformarsi in predatore. A tratti pare ritirarsi, poi attacca a sorpresa e fa male. È paziente e mentalmente solidissimo.
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