E’ un Sinner diverso, meno tecnico e più esistenziale, quello che ci ha regalato il trionfo di New York arrivato dopo mesi durissimi e vissuto con la preoccupazione per la zia malata

Foto Ray Giubilo

Le braccia al cielo, l’abbraccio con il team, il bacio alla fidanzata Anna Kalinskaya, la dedica alla zia malata. Un esultanza contenuta, quasi trattenuta, un sorriso coperto da un velo di stanchezza. L’orgoglio di aver raggiunto un traguardo unico, quasi impensabile. Ma anche la consapevolezza di quanta fatica e sofferenza è costato arrivarci.

«Questo titolo per me vuol dire tanto, in un periodo della mia carriera importante e non facile. Amo il tennis, mi alleno tanto per arrivare a traguardi come questi, ma ho capito che fuori dal campo c’è una vita che va oltre il tennis», dice Jan, premiato dal mito Andre Agassi.

L’uomo che ama il tennis vicino a quello che ha venduto milione di copie raccontando di averlo odiato. «Durante questo torneo ho capito davvero quali sono le cose importanti, e voglio ringraziare chi mi è stato vicino. Ho vissuto grandi momenti, ma posso ancora migliorare». 

In conferenza stampa gli viene chiesto di paragonare il primo Slam, quello di Melbourne, alla conferma di New York. 

«Credo che non si possano fare paragoni, perché le circostanze sono diverse, i periodi dell’anno diversi. A Melbourne è stata una sorta di sollievo, perché nella mia mente era come se stessi lavorando per quel traguardo, e prima non sai mai se vincerai un Grande Slam o no. Ma quando lo vinci, sai sa che potenzialmente puoi farlo ancora. Qui è stato difficile perché anche le circostanze precedenti al torneo non sono state facili facili. Ho avuto la sensazione di essere cresciuto, partita dopo partita, e che anche il mio livello di fiducia aumentasse. È stato diverso perché questa volta avevo più pressione, forse un po’ di più rispetto all’Australia. Sono contento di come ho gestito questa partita. Sono felice di avere questo trofeo con me».

I due test falliti, la notizia ‘segreta’ della positività, il processo durato mesi e di cui non poteva parlare, poi l’assoluzione. Continuare a giocare non è stato facile.

«Sono sempre state le persone che mi sono vicine quotidianamente che mi hanno permesso di farlo, quelle che mi conoscono da quando ero molto giovane. La mia famiglia, la mia squadra, tutti coloro che mi sostengono quotidianamente. Cerco sempre di restare vicino a loro, soprattutto quando le cose si fanno difficili, perché so che possono aiutarmi in quei momenti. Che erano, e ancora un po’ sono nei miei pensieri, ma quando sono in campo cerco di concentrarmi sulla partita, di gestire la situazione nel miglior modo possibile, di comunicare con la squadra e di allenarmi. Quindi sì, non è stato facile, ma dall’altra parte e credo di aver fatto un ottimo lavoro mentalmente rimanendo lì ogni punto che ho giocato».

Nonostante quelle ombre nascoste che anche durante gli Us Open, soprattutto all’inizio, gli attraversano il viso, scacciando il sorriso.

«Non è stata solo una settimana prima del torneo. Sono stati mesi. In certi momenti è stato molto difficile per me divertirmi. Anche il modo in cui mi comportavo o camminavo in campo, non era lo stesso, chi mi conosce meglio ha capito che c’era qualcosa che non andava. Ma qui, lentamente, ho ricominciato a ritrovarmi come persona. Non importa il risultato, giocare qui mi ha aiutato un po’. Ora mi farà bene riposare un po’, e poi ricominciare dalla Cina».

Poi la spiegazione della dedica alla zia: «E’ una persona molto importante per me, perché quando i miei genitori lavoravano ogni giorno, tutto il giorno, era mia zia che mi accompagnava alle gare di sci. Mi ha sempre aiutato in estate, quando avevo qualche giorno libero. Anche per questo, quando ho attraversato questo momento difficile, ho cercato di vederlo in modo diverso. C’è lo sport, certo, ma la vita reale è qualcosa di diverso. Noi tennisti viaggiamo molto, è difficile passare del tempo con le persone che ami davvero, ma se avessi più tempo, sicuramente lo farei. Anche questo è un momento molto, ma bisogna anche accettare che non tutto vada in modo perfetto». 

La rivalità con Alcaraz è solo all’inizio, ed è una spinta in più: «Be’, è bello vedere nuove rivalità. Ci saranno momenti in cui i miei rivali mi batteranno, e dovrò trovare un modo per affrontarli. Oggi abbiamo visto che non tutto è stato perfetto. Avrei potuto servire un po’ meglio, ma questo mi fa capire che il lavoro non finisce mai». 

L’ultimo pensiero è per le critiche, gli attacchi ma anche il sostegno che ha ricevuto dai colleghi: «In generale la reazione dei giocatori è stata abbastanza positiva, anche quando le cose sono venute fuori. Poi ci sono state, ovviamente, alcune voci diverse, ma questo succede ovunque, non solo nel tennis, non ci puoi fare nulla. Posso solo parlare dal mio punto di vista, dal punto di vista del mio team, e siamo tutti molto orgogliosi di quello che abbiamo ottenuto».