Il forfait per il torneo di Roma e gli infortuni di Madrid hanno fatto sorgere l’interrogativo: serve più attenzione alla programmazione?
di Massimo d’Adamo
L’infortunio a Jannik Sinner giunge dopo mille altri di identica o diversa fattura, subiti nel tempo da giocatori professionisti che, in quanto tali, sono chiamati alla cura maniacale del proprio corpo.
Una semplice riflessione che rimanda alla forte evoluzione iniziata negli anni ’80 con il passaggio degli attrezzi dal legno alla fibra e proseguita negli anni con l’incremento delle superfici dure , indoor o outdoor che siano. Un processo ancora in atto che via via ha pagato dazio con la necessità di formare strutture fisiche sempre più imponenti, una crescita che, in un processo darwiniano, ha imposto agli ultimi arrivati una statura media di 25/30 cm superiore rispetto al passato, quale conditio sine qua non’ per ambire alla competizione di alto livello. Uno sviluppo naturale che solo in parte ha ovviato alle richieste di quel tennis fisico tanto in voga in questo primo scorcio di millennio. Al punto da osservare in esso uno sport che in alcuni frangenti richiama a sé tali e tante risorse, muscolari e fisiologiche, difficilmente reperibili nel corpo umano. Ragion per cui tutti coloro che fanno di quest’attività un mestiere a tempo pieno, rischiano di andare spesso oltre misura sfociando in infortuni che non fanno sconti a nessuno, neanche ad atleti come Alcaraz e Sinner, giovani fenomeni forti de loro meravigliosi vent’anni.
Cosa fare dunque? Non ho la bacchetta magica ma dico che in attesa di interventi strutturali che riconducano il gioco a qualcosa di più sostenibile, occorre procedere a una più oculata programmazione agonistica e subito dopo all’ottimizzazione delle metologie di allenamento, magari fermandosi un minuto prima della famosa soglia piuttosto che un minuto dopo quando il danno ormai è fatto.