Nessuno vi è esente. La paura ci attanaglia a un punto tale da non poter più disporre nemmeno dei colpi più sicuri. E più l’investimento emotivo sulla partita è alto, maggiori sono le ripercussioni. Come ci si dovrebbe allora comportare in questi casi? …

di Antonio Daino – foto Getty Images

 

Da cosa nasce la paura di sbagliare? Secondo Adler (seguace di Freud) la paura di sbagliare scaturisce dal senso di insicurezza e inferiorità con cui nasciamo e contro il quale combattiamo per tutta la vita. Ogni persona è caratterizzata ovviamente da un sentimento di inferiorità più o meno elevato, ma nessuno è escluso, perché tutti hanno in fondo paura di morire.

 

Il senso di inferiorità si sviluppa nei primi anni di vita quando si è completamente dipendenti dai genitori, successivamente questo stato viene rinforzato dagli insegnanti e infine anche l’insegnante di sport fornisce il suo contributo nel far percepire all’allievo la sua inadeguatezza rispetto all’apprendimento motorio. Date queste premesse, comuni a tutti i bambini del mondo occidentale, quando dallo sport per gioco si passa a quello agonistico, ecco affiorare in automatico la paura di sbagliare che si accompagna a quella di perdere che incombe minacciosa su ogni competizione.

 

La caratteristica della competizione è proprio quella di far emergere il sentimento di inferiorità che è stato nascosto sotto una grande quantità di allenamenti tecnici, ma che non esita a ri-presentarsi nei momenti cruciali, per ricordarci che nel nostro profondo c’è una parte del nostro “Io” perdente.

 

Un aspetto singolare della situazione riguarda il fatto che il fenomeno del “blocco” (choke nel tennis anglosassone), il braccino nel tennis italiano, si palesi quando il giocatore è in vista della vittoria.

La spiegazione va cercata nella mente del giocatore che ad un certo punto “vede” qualche cosa che non esiste (VEDE UNA COSA CHE NON C’È). Per esempio trasforma l’unico passante vincente di rovescio dell’avversario nel rovescio di Wawrinka e quindi modifica il suo gioco per non cercare più il rovescio dell’avversario. Un altro esempio è quello di passare dal gioco di attacco che lo aveva portato in vantaggio fino a quel punto della partita a un approccio più prudente e conservativo, nella speranza che sia l’altro a sbagliare. Un ultimo esempio è quello di desiderare con tutte le forze che l’altro faccia doppio fallo.

 

Questi cambiamenti non sono di carattere tecnico, bensì scaturiscono dalla paura, tutta mentale, che emerge dall’inconscio del giocatore che lo fa sentire perdente piuttosto che vincente.

 

 

 

Spesso la gente confonde la paura di vincere con la paura di sbagliare che attanaglia il giocatore in vista del traguardo. In verità il giocatore che sbaglia lo fa perché teme di non riuscire a vincere, con tutto il male che la sconfitta porta con sé, in termini di sofferenza, delusione e dispiacere per l’essere stati battuti. Il torneo di tennis è una “guerra simbolica” che stabilisce chi vive e passa al turno successivo e chi muore e torna a casa.

 

Un ulteriore elemento che caratterizza la situazione tennistica è quello dell’investimento emotivo sulla partita. Più è alto e maggiori saranno le ripercussioni emotive conseguenti alla possibile sconfitta.

 

Ma perché la paura di essere battuti porta con sé un così alto grado di tensione prima della partita? La spiegazione è per certi aspetti semplice: ognuno è alla ricerca di una posizione in classifica più elevata, perché questo fa dire agli altri “guarda come gioca bene, che bei risultati ha conseguito, è veramente un grande giocatore”.

 

Come abbiamo già accennato, il momento della verità tennistica si verifica quando mancano due o tre punti per vincere la partita. In questi casi la pressione cresce ed è necessario resistere alla spiacevole e dolorosa sensazione di difficoltà che si prova in quei momenti per dimostrare a sé e agli altri, avversario in testa, che si è assolutamente determinati a vincere la partita. In queste situazioni è opportuno imparare a riconoscere la paura che si muove dentro di noi come una parte di noi stessi e darle un nome per poterla accettare e quindi gestire.

 

Per esempio prendendo la decisione di giocare con uno schema tattico aggressivo sul punto debole dell’avversario. La paura è una caratteristica profondamente umana, dalla quale non si può prescindere, infatti può inchiodarti i piedi per terra se stai rispondendo ma può anche farti volare in cielo per schiacciare un pallonetto. Quando si è in gara non c’è un posto dove rifugiarsi, è meglio accettare la grande pressione, impegnarsi, soffrire e resistere dimostrando tutta la responsabilità legata alla decisione di scendere in campo e quindi vincere profondendo tutte le energie di cui disponiamo.