Ricapitoliamo: la finale doveva essere condizionata dalla febbre di Serena Williams. Poi è stata una semplice esecuzione fino al 6-3 4-1 per l'americana. Poi è diventata un dramma, con la Williams improvvisamente incapace di fare anche solo un punto a una scatenata Lucie Safarova, quasi dominante fino al 2-0 al terzo. Infine è tornata sui binari della normalità, con sei giochi consecutivi che hanno incoronato Serena, fiammante campionessa del Roland Garros. Per lei è lo Slam numero 20, il terzo al Roland Garros. Dopo il matchpoint vincente, la regia francese ha inquadrato coach Patrick Mouratoglou che ha fatto segno “20” con le mani. Insieme hanno raggiunto un obiettivo che sembrava impossibile soltanto tre anni fa, quando Serena perdeva al primo turno contro Virginie Razzano (unica sconfitta in carriera al primo turno di uno Slam) e, un po' persa, chiese al coach francese se c'era un po' di spazio anche per lei nella sua accademia. E' nata una collaborazione che probabilmente l'accompagnerà fino al ritiro, e che per qualche tempo si è tramutata in una love story. A quanto pare quest'ultima è finita, ma i due hanno avuto la lucidità necessaria per mantenere il rapporto professionale. Da quando Mouratoglou siede al suo angolo, la carriera di Serena ha svoltato. Aveva quasi 31 anni, oggi ne ha quasi 34 e ha intascato altri otto Slam, il 40% del totale. Mouratoglou è abbastanza pieno di sé, adora apparire ed è un maestro nelle pubbliche relazioni (avete visto come analizzava la finale nella sua rubrica su Eurosport, incurante del conflitto di interessi?), ma con Serena ha fatto un capolavoro che gli va riconosciuto. L'ha saputa motivare, l'ha fatta lavorare senza mai toglierle la sua vita, i suoi interessi. Il 6-3 6-7 6-2 di questa finale è un po' la metafora del loro rapporto professionale. Partenza a razzo (i due Slam consecutivi nel 2012) , un improvviso black out (l'incapacità di raggiungere anche solo i quarti nei primi tre Slam del 2014) e poi la ripartenza a bomba, che a Parigi si è materializzata in sei game consecutivi e nel terzo Slam consecutivo.
UNO SLAM TRIBOLATO
Scavallata Parigi, in teoria la strada è in discesa verso l'agognato Grande Slam, che avrebbe un sapore ben più speciale del “Serena Slam” intascato tra il 2002 e il 2003, quando vinse quattro Major di fila ma in anni diversi. Adesso Serena non ha più limiti: è a sole due lunghezze da Steffi Graf, e a quattro da Margaret Court. Non sappiamo se le raggiungerà, o magari supererà, ma l'impressione è che sia già la tennista più forte di sempre. Ci vuole ancora tempo per capire se si tratta della più grande. Tra le due categorie c'è una differenza sottile, ma significativa. Di certo, il Roland Garros 2015 è stato il più teatrale dei suoi venti Slam. Ha lasciato per strada la bellezza di cinque set, e in ben quattro occasioni ha dovuto rimontare un set di svantaggio. E forse soltanto contro Anna-Lena Friedsam non ha rischiato di perdere. Vika Azarenka ha dettato legge fino al 6-3 4-2, Sloane Stephens è stata perfetta fino al 6-1 5-4 e Timea Bacsinszky sembrava poter approfittare delle sue difficoltà fisiche. Quando l'ha brekkata nel secondo set (6-4 3-2 e servizio), si pensava che l'avventura di Serena fosse finita. Lei ha risposto con dieci game di fila. Dopo un giorno senza allenamento, la finale sembrava un classico match di routine. Contro la Safarova aveva vinto otto volte su otto, spesso dominando. Una Serena in discreta condizione, molto concentrata, ha dominato fino al 6-3 4-1. Poi cosa è successo? Nel sesto game del secondo set, avanti 40-15, ha commesso un paio di doppi falli ed è piombata in un black-out inspiegabile. La Safarova ha trovato il suo miglior tennis proprio mentre Serena ha arretrato il baricentro. Si è aggiudicata il 90% dei punti nei successivi quattro game, ma nessuno credeva che potesse fare sul serio.
REAZIONE DA CAMPIONESSA
Serena ha ritrovato il vantaggio ed è andata a servire sul 6-5. Ma in quel game sono esplosi i meriti di Lucie, che si è inventata un pazzesco game di risposta. Alcune fucilate di dritto hanno lasciato ferma l'americana, finita con un gran rovescio lungolinea. Il tie-break (7-2 Safarova) era l'ovvia conclusione di una clamorosa erezione agonistica. E' come se i pezzi del puzzle si fossero messi insieme, magicamente, uno dopo l'altro. Un'ottima condizione atletica, il braccio sciolto di chi non ha nulla da perdere, e la carica del suo clan, numerosissimo e addobbato con un paio di bandiere della Repubblica Ceca. Sullo slancio, Lucie è salita 2-0 al terzo e il match sembrava ormai in discesa. Sarebbe stata una delle maggiori sorprese dell'Era Open. Serena aveva perso la misura dei colpi, tirava tutto fuori di mezzo metro. A quel punto si è trovata davanti a un bivio: rimetterla in piedi oppure lasciarsi andare. “Il modo in cui si fronteggia le difficoltà fa la differenza tra una campionessa e una giocatrice normale” aveva detto Mouratoglou alla vigilia. Serena non l'ha voluto smentire, giocando sei game superbi, con la massima concentrazione su ogni palla. Ha esultato in modo plateale, come piace a lei, per rendere l'idea delle difficoltà superate nel cammino. Sicuramente ne ha avute, ma forse ha esagerato con le scene. Per questo, almeno per noi, non è il titolo più scintillante della sua carriera. Ma riveste un'importanza fondamentale perchè tiene vivo un sogno che oggi è più concreto che mai. Serena è la più forte di tutte, viva Serena.
ROLAND GARROS DONNE – Finale
Serena Williams (USA) b. Lucie Safarova (CZE) 6-3 6-7(2) 6-2