Sotto la guida del coach venezuelano, il bulgaro ha centrato i quarti di finale sia a Toronto sia a Cincinnati, dopo oltre un anno senza squilli. Che sia l’ex coach di Berdych l’uomo giusto per riportarlo fra i primi 10? “Grigor sta ritrovando la sua identità, voglio semplificare al massimo il suo gioco”.

Prima di mettere piede a Toronto, Grigor Dimitrov non giocava un quarto di finale a livello Masters 1000 da Madrid 2015. Poi, come per incanto, eccone due di fila: prima in Canada e poi a Cincinnati, dopo la poco felice parentesi Olimpica. Il segreto? A quanto pare si chiama Dani Vallverdu. Il coach venezuelano aveva lavorato a fianco di Juan Martin Del Potro nel corso del torneo di Wimbledon, ma – si scopre dal sito ATP – ha preferito non continuare la collaborazione per ragioni personali, non volendosi spostare di nuovo in Sudamerica (ora vive a Zurigo) e quindi viaggiare il doppio rispetto a quanto sta facendo. Così, l’ex coach di Tomas Berdych ha detto “sì” alla chiamata di Grigor Dimitrov, iniziando a lavorare col bulgaro proprio da Toronto. I risultati si sono visti fin dall’inizio, per un giocatore che dopo aver toccato i primi dieci ha fatto incredibili passi indietro, scivolando addirittura al numero 40. Le aspettative che gravano sulle sue spalle sin da giovanissimo hanno fatto la loro parte, il fidanzamento con Maria Sharapova pure, e difficilmente lo vedremo arrivare al numero uno o diventare “il nuovo Federer”, come si pensava fino a qualche anno fa. Ma uno col suo tennis deve comunque stare molto in alto, non impantanato fuori dai primi 30.

A quanto pare, il compito di riportarlo su sta riuscendo a Vallverdu. A Cincinnati il suo allievo è tornato a battere un top-10, Stan Wawrinka, e contro Johnson (seppur in formissima) ha buone chance di regalarsi una semifinale. “Quando ho deciso di non lavorare più con Juan Martin – ha raccontato – ho fatto quattro chiacchiere con Grigor per capire la sua situazione. Ci siamo trovati bene e abbiamo iniziato a lavorare. Spero di potergli dare una mano a semplificare un po’ il suo tennis. Ha un sacco di risorse, ma non è facile usarle nel momento giusto. Quando si trova in delle situazioni complicate, deve imparare a guardare solo al suo gioco, e usare a dovere le sue armi, che sono ottime. Capitano dei periodi difficili, bisogna accettarli e ripartire. Secondo me, il problemi di Grigor era che in campo non riusciva a trovare la sua identità. Le sue armi erano meno buone rispetto a prima, e ha generato un effetto domino: quando il tennis non va bene, cala la fiducia e aumentano i problemi”. A sentirlo parlare, pare abbiano importato un progetto a lungo termine. “Lavoreremo duro, per tanti mesi, mettendosi testa e impegno. Sappiamo dove Grigor può arrivare, perché ci è già arrivato, e ce la metteremo tutta per tornare a quel livelli. La parte interessante è che in questo momento Grigor ascolta tanto, è molto ricettivo. E questo facilita molto il mio lavoro”.