L’apertura all’Arabia Saudita da parte del Presidente Atp Gaudenzi è una grande sfida, che passa dall’inclusione e dal tentativo di mettere d’accordo le varie sigle che governano il tennis
L’Arabia Saudita bussa alla porta del tennis, anzi dello sport. Ne avrete sentito parlare. A me ne ha parlato mio suocero, che è vicepresidente dell’Uefa (Zibi Boniek, ndr): nel calcio l’obiettivo è ospitare i mondiali del 2032, ma nel mirino ci sono anche le Olimpiadi e altri grandi eventi, anche nel tennis. E’ un tema sensibile, che si inquadra in una serie di cambiamenti che stanno investendo lo sport dopo la pandemia.
Il tennis sta progettando il suo futuro, fra qualche passo falso – la rivoluzione che ha interessato la Coppa Davis ad esempio non ha avuto un esito felice… – e un progetto, quello di Andrea Gaudenzi, che vuole mettere insieme innovazione e tradizione.
Il rinnovo del mandato di Presidente Atp ad Andrea è una mossa giusta, perché gli darà il tempo di portare avanti un percorso che non poteva compiersi in soli quattro anni, per giunta con gli ostacoli della pandemia, della guerra e dell’opposizione della Ptpa. Andrea ha deciso di aprire all’Arabia e questa è una mossa comprensibile, perché l’inclusione è proprio il concetto base della sua idea, che è poi quella di mettere insieme le tante sigle che governano l tennis. Va però portata avanti con attenzione. Mi spiego meglio: se l’attivismo di Riad è figlio solo di un capriccio, di un puro impiego di capitali, non credo sia positivo. Se invece prevede un impegno a 360 gradi, che parta del livello giovanile e coinvolga tutti i gradini fino al professionismo, in maniera capillare e diffusa, coinvolgendo e facendo crescere la base, allora va sostenuto.
Il puro e immediato tornaconto economico non può essere la giustificazione per intasare un calendario già pieno, o sacrificare tornei che hanno una grande tradizione per fare spazio a eventi senza storia e senza grande partecipazione. Certo, c’è anche la questione dei diritti umani e civili, che in quella parte del pianeta è scottante. Deve essere l’associazione dei giocatori a prendersene carico, ma come ho già detto credo che accogliere, includere, senza cedere sui principi, anzi trovando nuove piattaforme per farli valere, sia una strada sensata. E’ semplicistico sostenere che partecipando ad un torneo si avallano certe politiche. Respingere significa creare rabbia, senso di esclusione, e alimenta sentimenti di vendetta, come abbiamo visto in ambito più ampio.
La grande sfida è proprio questa, io credo: integrare, trovare tavoli comuni. Atp, Wta, Itf, tornei del Grande Slam hanno ciascuno le proprie logiche e perseguono i propri interessi, ma la sfida di Gaudenzi è quella di far capire a tutti che rinunciando a qualcosa sul piano individuale si può ottenere un risultato più grande che a lungo termine si rivelerà conveniente per tutti. Non è una sfida facile, e non è solo una battaglia di principi, sono convinto che investendo su questo progetto alla fine i soldi torneranno moltiplicati nelle casse di tutti. Ci vuole però tempo, lungimiranza, un’opera diplomatica importante. Non credo i tempi siano già maturi per raccogliere i frutti di questo sforzo. Ma come si dice, vedo una luce.