Schiacciante dimostrazione di superiorità di Serena Williams. L’americana prende a pedate la Sharapova, la batte 6-0 6-1 e conquista l’oro con 17 game al passivo in 6 partite.
Il podio del singolare femminile: Azarenka, Williams e Sharapova
Di Riccardo Bisti – 4 agosto 2012
A Richard Williams saranno fischiate le orecchie. Erano le maledizioni di Maria Sharapova, ridotta a brandelli da sua figlia Serena nella finale olimpica. Tra un vincente e l’altro, frustrata dall’impossibilità di attuare un minimo di resistenza, la russa avrà pensato a quel pomeriggio del 1979, quando Richard (cestista di basso livello) finì per caso nel parcheggio di un torneo di tennis a Los Angeles. Era pieno di Porsche e Mercedes. “Mica male, ‘sto tennis” fu la riflessione. Alla sera si è presentato dalla moglie Oracene e le ha detto più o meno così: “Dai, sforniamo un altro paio di figli e facciamoli giocare a tennis”. Pare che abbia addirittura “olutamente "dimenticato" i contraccettivi…Il 17 giugno 1980 è nata Venus, il 26 settembre 1981 è venuta al mondo Serena. Quando Venus esordì, a 14 anni, si sussurrava: “Se Serena sarà altrettanto forte, questa sarà la rivalità del 2000”. Peggio. Serena è più forte, più carismatica e più agonista di Venus. Ed è una delle più grandi di sempre. Non aveva mai vinto l’oro olimpico in singolare, ma si è rifatta a Londra 2012 massacrando le avversarie dalla prima all’ultima palla. Un trionfo che passerà alla storia per il modo in cui è maturato. In sei partite, Serena ha perso 17 game. In media, meno di 1,5 a set. L’avversaria più “difficile” – pensate un po’ – è stata Urszula Radwanska, sorella minore di Agnieszka, che al secondo turno ha perso 6-2 6-3. La finale è stata una crudele esecuzione. Maria Sharapova, bella, algida, carismatica, ha recitato il ruolo di comparsa. Si è comportata benissimo, senza lasciarsi andare, e durante la premiazione ha anche trovato la forza di sorridere. Ma dentro di sé era furiosa. Lei è abituata ad essere la numero 1, la più bella, la più pagata. Spesso anche la più forte. Invece ha preso 6-0 6-1 dalla miglior Serena di sempre.
E pensare che l'americana, 17 mesi fa, venne ricoverata al SINAI Medical Center di Los Angeles (famoso per aver ospitato tante scene del mitico teen-drama “Beverly Hills 90210”). Embolia polmonare, rischi mica da ridere. Si temeva per la sua vita, altro che carriera tennistica. Invece si è lentamente ripresa e sta scrivendo altre pagine di storia. 28 giorni fa ha vinto Wimbledon, intascando il 14esimo Slam. Ma voleva le Olimpiadi, ci teneva più di qualsiasi altra cosa. Pur di giocare a Londra ha ingurgitato un paio di partite di Fed Cup, “conditio sine qua non” per esserci. A febbraio è andata a Worcester, in Massachussets, per battere le bielorusse Govortsova e Yakimova. Ad aprile è addirittura volata a Kharkiv, in Ucraina, per riportare le americane nel World Group I. Svitolina e Tsurenko le hanno preso otto game in quattro set. Mentre giocava partite di cui non le importava nulla, Serena pensava alla libidine di salire sul podio, sul Centre Court di Wimbledon, sotto gli occhi commossi della sorella e quelli invidiosi delle avversarie. Il pensiero è diventato realtà dopo una finale-spettacolo, in cui ha fatto il quadruplo dei vincenti della Sharapova (24 contro 6) e si è tolta lo sfizio di piegarle le braccia con i suoi missili. “Masha” non ha giocato male: semplicemente, Serena le ha impedito di giocare. I suoi colpi viaggiavano talmente forte da impedire di organizzare un qualsiasi colpo di sbarramento. E Serena provava un sottile piacere nello sculacciare una delle rivali più credibili, la stessa che otto anni fa la battè in finale a Wimbledon, su questo stesso campo, lasciandole cinque game. Anche per questo non ha mollato quando, avanti 5-0 nel primo set, ha rimontato un game da 40-0 per la russa. Voleva umiliarla. L’unico momento di irrisoria difficoltà è arrivato sul 3-0 nel secondo. Masha ha tenuto l’unico turno di battuta e per un attimo ci ha creduto. Anziché sorridere e fare un po’ di scena come accade a chi vince un game dopo averne persi parecchi, la russa ha elevato la concentrazione. E si è procurata due palle break nel quinto game. La prima è volata via con una combinazione servizio-schiaffo al volo, la seconda con un rovescio-montante. Qualche minuto dopo, l’ace numero 10 regalava la medaglia d’oro a Serenona.
Un trionfo. Durante la premiazione, condotta da Shamil Tarpischev e Francesco Ricci Bitti, la commozione ha lasciato spazio all’esaltazione. Saltellava come una bambina a cui hanno comprato un giocattolo nuovo. Per quanto sia più forte di Venus, ha sempre avuto un (minuscolo) complesso di inferiorità verso la sorella. L’oro olimpico in singolare era uno dei pochi successi colti da Venus e non da Serena. Questa vittoria chiude il cerchio di una carriera strepitosa e le consente di diventare la terza tennista di sempre (dopo Agassi e Graf) a vincere tutti gli Slam, il Masters di fine anno e l’oro olimpico. Lo stesso obiettivo che domani cercherà di raggiungere Roger Federer. Ma oggi è tempo di celebrare Serena, stella olimpica di Londra 2012, a maggior ragione se dovesse vincere il doppio con Venus. Da quando si allena con Mouratoglu ha trovato quello che le mancava. Probabilmente non si allenava così bene da 20 anni, da quando Rick Macci la spuntò su Nick Bollettieri e segregò le due sorelle in un’Accademia di Delray Beach, lontano da occhi indiscreti e tornei giovanili, sotto lo sguardo famelico di papà Richard. Ha avuto ragione lui. E pazienza se oggi gli sono fischiate le orecchie durante la finale. Conoscendolo, si sarà fatto una grassa risata.
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