Mini sanzione per Serena Williams dopo l'inaccettabile comportamento durante la finale dello Us Open. La multa le sottrarrà meno dell'1% del prize money, peraltro senza sanzioni accessorie. La storia recente sembrerebbe smentire le tesi di “sessismo” sostenute da Serena. Discutibile anche il comunicato WTA.

Più che una sanzione, è una carezza. Dopo aver dato a Serena Williams la soddisfazione morale di non premiare Carlos Ramos al termine della finale dello Us Open, le hanno dato una multa che rasenta il ridicolo. 17.000 dollari che saranno detratti dal milione e 850 mila guadagnato per aver raggiunto la finale a New York. Lo 0,92% (scarso). Significa che l'inqualificabile comportamento dell'americana, ancor più grave perché recidivo, non avrà nessuna conseguenza. È un precedente molto grave: qualsiasi giocatore (o giocatrice) potrà giocare la finale di uno Slam e dare del “ladro” all'arbitro, sapendo che metterà a repentaglio meno dell'1% del premio in denaro. Che poi, a ben vedere, le accuse a Ramos le sono costate 10.000 dollari (neanche il massimo: la norma sul verbal abuse prevede una sanzione fino a 20.000 dollari), a cui vanno aggiunti i 4.000 per il coaching (la miccia che ha acceso la furia di Serena) e 3.000 per aver devastato la racchetta. Quanto è successo sabato notte è chiaro: telecamere e microfoni lo hanno mostrato in modo quasi pornografico. Serena Williams ha ricevuto un warning perché il suo allenatore, Patrick Mouratoglou, le ha fatto un chiaro cenno in avvio di secondo set. È coaching, come peraltro ammesso da Mouratoglou. Si può discutere all'infinito se sia stato troppo fiscale, ma ha applicato il regolamento. Ed è deboluccia l'argomentazione secondo cui "lo fanno tutti e la passano liscia, doveva andare così anche stavolta". Tra l'altro, è opportuno ricordare che il primo “avviso” non ha nessuna conseguenza disciplinare: vale meno di un'ammonizione nel calcio, perché non sporca la fedina disciplinare nei match successivi.

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"DOPPIO STANDARD"
Quando Serena ha spaccato la sua racchetta dopo aver subito il controbreak, il secondo warning le è costato un penalty point. Lì è iniziata la guerra verbale. “Non ho ricevuto il coaching! – ha detto più volte – non sono un'imbrogliona! Non ho ricevuto il coaching. Come puoi dirlo? Mi devi delle scuse. Non ho mai barato in vita mia”. Probabilmente era in buona fede, ma era nel torto. La terza violazione le è costata il penalty game e ha fatto deflagrare le sue proteste. “Non sarai mai, mai, mai e poi mai sul mio stesso campo finché vivrai – ha continuato Serena – tu sei il bugiardo. Quando hai intenzione di scusarti? Mi devi delle scuse. Dillo. Dimmi che ti dispiace… mi ha rubato un punto. Sei un ladro!”. Come è andata a finire, lo sappiamo. Una premiazione surreale, in cui Ramos è stato fatto sparire, e una conferenza stampa ancora più incredibile, in cui Serena ha accusato l'arbitro di sessismo, sostenendo che continuerà a combattere per rimuovere il “doppio standard” dal tennis. Per “doppio standard” si intende una disparità di trattamento tra uomini e donne. “Ho visto altri giocatori prendersela con gli arbitri per diverse cose – ha detto – sono qui a combattere per i diritti delle donne e l'uguaglianza. Lui non ha mai tolto un game a un uomo perché gli è stato detto 'ladro'”. Affermazioni dettate dall'emotività, ma molto gravi. L'opinione pubblica si è divisa in due fazioni di colpevolisti. C'è chi colpevolizza Serena Williams, c'è chi lo fa con Carlos Ramos. A favore dell'americana, Billie Jean King. La donna a cui è intitolato l'impianto di Flushing Meadows ha scelto Twitter per esprimere il suo pensiero: “Diverse cose sono andate male durante la finale femminile dello Us Open. Fare coaching su ogni punto dovrebbe permesso. Non è così e, come risultato, una giocatrice viene penalizzata per i comportamenti del suo coach. Non dovrebbe accadere. Quando una donna mostra le emozioni viene definita 'isterica' ed è penalizzata per questo: quando lo fa un uomo, viene considerato 'schietto' e non ci sono ripercussioni. Grazie a Serena Williams per aver sottolineato questo doppio standard. Ci vorrebbero più voci come questa”. Tali affermazioni dovrebbero essere supportate dai fatti.

IL COMUNICATO WTA
Esistono casi analoghi in cui un giocatore (uomo o donna che sia) è stato graziato, o punito in misura inferiore? Prendiamo il caso di Fabio Fognini, risalente a dodici mesi fa: il ligure si lasciò andare a frasi gravissime nei confronti della giudice di sedia, la svedese Louise Engzell. Sul campo, forse favorito dalla lingua, non ricevette sanzioni. Però il suo comportamento fu vivisezionato fino a ricevere una multa di 72.000 dollari (più del quadruplo di Serena Williams) e la squalifica immediata dal torneo di doppio. Altri esempi? Nel 1990, John McEnroe fu buttato fuori dal campo durante il match contro Mikael Pernfors all'Australian Open. All'epoca vigeva la norma della squalifica al terzo richiamo (mentre oggi c'è un passaggio in più). Come testimonia il filmato, i fatti non furono così diversi rispetto a quelli di oggi: warning per aver intimidito una giudice di linea, warning per aver scaraventato per terra la racchetta e warning per aver insultato arbitro e supervisor. In tempi più recenti, è stato vittima di una squalifica anche il nostro Julian Ocleppo, figlio di Gianni. Lo scorso anno, durante il Futures di Padova, durante il match contro Matteo Viola, bastarono tre richiami per allontanarlo dal campo (una racchetta spaccata e due “verbal abuse”). Senza dimenticare il caso tra Jelena Ostapenko e Naomi Broady ad Auckland 2017: la lèttone lanciò una racchetta che colpì inavvertitamente un raccattapalle. In teoria, un gesto da squalifica immediata. La Ostapenko fu graziata e poté continuare a giocare. Casi diversi tra loro e lontani nel tempo, che però sembrano allontanare la tesi del sessismo. Semplicemente ci sono state valutazioni e interpretazioni diverse, talvolta sbagliate, ma che non hanno nessun significato "di genere". In questo senso, non aiuta il comunicato diffuso dalla WTA: tramite il suo presidente Steve Simon viene cavalcata la tesi del “doppio binario”, e si caldeggia la possibilità di consentire il coaching durante le partite, come peraltro già accade nel tour. Un comunicato che sembra cucito apposta per Serena: non potendo criticare l'operato di Ramos, allora si critica la regola. Ed è un doppio autogol, perché nella stessa conferenza stampa post-match, la stessa Williams ha dichiarato di non essere così sicura della bontà del coaching e di non averlo mai richiesto in vita sua, nemmeno quando è permesso ("Una delle cose che mi piacciono del tennis è la necessità di dover risolvere i problemi da soli"). Un comunicato che si poteva evitare. Così come tante altre cose che si sono viste nelle ultime 48 ore.