Questa partita ci ha spiegato perché, da sempre, lo Us Open viene definito lo Slam più "ignorante". Per la prima volta, una tennista giapponese (uomini compresi) vince un torneo del Grande Slam. Però ricorderemo soprattutto la follia di Serena Williams. Sì, perché di follia si è trattata. L'americana ha totalmente perso il controllo delle proprie emozioni durante il 6-2 6-4 incassato da Naomi Osaka, straordinaria e meritata vincitrice. Tutti ricorderanno i tre “warning” incassati da Serena, forieri di un penalty game che ha portato la giapponese sul 5-3 nel secondo set. Ma andiamo con ordine. L'oggetto del contendere è un presunto coaching di Patrick Mouratoglou. Le norme prevedono che allenatori e giocatori non possano comunicare tra loro, pena un “warning”. In avvio di secondo set, Mouratoglou ha fatto un chiaro gesto verso la sua giocatrice. Il giudice di sedia, il portoghese Carlos Ramos, ha applicato alla lettera il regolamento. Ai microfoni di Eurosport, Mouratoglou ha raccontato la sua versione dei fatti: “Ho fatto dei segnali, ma il 100% degli allenatori fa così. In una finale Slam non viene mai dato un richiamo alla prima occasione. Bastava dire di smetterla, e io avrei smesso”. Il secondo warning è arrivato quando la Osaka ha recuperato il break di svantaggio nel secondo set. Sull'1-1, Serena aveva trovato il suo miglior tennis, cancellando una palla break e poi giocando una straordinaria palla corta sulla parità. Sullo slancio, saliva 3-1 e il match sembrava poter prendere un'altra direzione. Nel momento del bisogno, la giapponese ha mostrato le stimmate della campionessa. Risaliva sul 3-2 e Serena spaccava la racchetta, prendendosi il secondo warning. A quel punto, iniziava a protestare in modo vibrante con Ramos: chiedeva che le fosse tolto il primo richiamo, pretendeva le scuse dell'arbitro e tirava il ballo il fatto di essere una madre. "Non ho mai barato in tutta la mia vita". In preda a un delirio di scarsa lucidità, perdeva altri due game e finiva sotto di un break.
EPILOGO SURREALE
Sul 4-3, trovava nel giudice di sedia un capro espiatorio e lo investiva di parole non esattamente gentili. Tra queste, la definizione di “ladro”. L'arbitro non accettava e le rifilava il terzo richiamo. A rigor di regolamento, “penalty game”. Senza giocare, dunque, la Osaka saliva sul 5-3. Serena esplodeva, chiedeva l'intervento del supervisor, riportando alla mente le scene viste nel 2009, quando fu vittima di un penalty point sul matchpoint a sfavore nella semifinale contro Kim Clijsters (per il famoso fallo di piede e le minacce alla giudice di linea Shino Tsurubuchi). Tirava in ballo il comportamento scorretto di Ramos, a suo dire “maschilista” perché – sempre secondo Serena – molti tennisti uomini fanno e dicono cose ancora peggiori senza essere puniti. Il pubblico impazziva, schierandosi apertamente con la propria campionessa e fischiando pesantemente Ramos. Non era più una partita di tennis. Solo nervi (per entrambe), rabbia (per Serena) e paura (per Naomi). Sul 3-5, la Williams teneva a zero il turno di servizio e si pensava che avrebbe potuto sfruttare a suo favore il clima, ormai da corrida. Invece continuava a protestare, mischiando rabbia e lacrime. Sul 5-4, la Osaka mostrava, ancora una volta, qualità impressionanti. Un gran dritto vincente, un ace e un servizio vincente la proclamavano campionessa dello Us Open. Condizionata dalla gazzarra, la gente non ha accolto con un boato l'ultimo punto e ha continuato a dare manforte alla Williams nelle sue manifestazioni anti-Ramos. Gli organizzatori si sono presi un quarto d'ora prima di iniziare la premiazione, anch'essa accolta dai fischi. Nel nuovo palco approntato dalla USTA, Serena Williams ha salvato il salvabile: con il microfono ESPN sotto il naso, ha chiesto al pubblico di applaudire la bella impresa della Osaka, augurandosi di poter tornare a giocare un match così importante.
NAOMI VINCE, POI SI SCIOGLIE
La giapponese, da par suo, era intimidita da una situazione più grande di lei. Ha pianto dopo il matchpoint, ha pianto quando è andata ad abbracciare il suo clan, ha pianto anche nelle prime fasi della premiazione. È stata consolata da Serena prima di farfugliare due banalità a Tom Rinaldi, arrivando addirittura a ringraziare un pubblico che era stato profondamente irrispettoso nei suoi confronti. È finita così, con l'immagine che avrebbe dovuto essere nelle prime pagine e nelle home page, mentre probabilmente gli scatti delle sfuriate di Serena Williams avranno maggiore risonanza. Faceva tenerezza, Naomi, quando posava con il trofeo, con un plotone di fotografi davanti a sé. Non sapeva cosa fare, si guardava intorno spaurita. Per lei, ciò che conta e non aver tremato quando la palla scottava e la racchetta pesava quintali. Il tempo è galantuomo e le conferirà il giusto merito per aver giocato un grande match, soprattutto nel primo set, in cui ha spesso punito Serena con grandi soluzioni da fondocampo, ottima regolarità e una fase difensiva sorprendente. Perso il primo game, ne ha vinti cinque di fila facendo capire che sì, in campo c'era anche lei. E che aveva tutta l'intenzione di vincere. Ha dimostrato di essere grande nel secondo set, sia quando ha evitato che il match prendesse un'altra direzione (recuperando da 1-3 a 4-3), sia quando si è trovata a servire per il match in una situazione totalmente surreale. Ha messo in ghiaccio il cervello, salvo poi sciogliersi in modo infantile – e per questo tenero – quando ha realizzato che il suo successo non era stato apprezzato a dovere, che gli americani avevano stabilito che questa vicenda aveva un colpevole: Carlos Ramos. Difficilmente dimenticheremo questa finale. Di certo, Serena continua a non avere un buon rapporto con gli arbitri. Del putiferio del 2009 abbiamo già detto, poi ci sono anche i furti subiti nel 2004 durante la semifinale contro Jennifer Capriati (il match che diede un'accelerata all'utilizzo di occhio di falco), e la sfuriata contro Eva Asderaki nella finale del 2011 con Samantha Stosur, quando le fu contestata la violazione della “hindrance rule”, ovvero la “palla disturbata”. Questi match hanno avuto un unico comune denominatore: li ha persi. Per questo, avrebbe dovuto restare calma e non lasciarsi travolgere da un'onda emotiva inaccettabile per una giocatrice così forte ed esperta. L'aggancio a Margaret Court, dunque, è fallito ancora una volta. Ci proverà ancora. La stella di Naomi Osaka era già nata qualche mese fa: in un surreale pomeriggio a New York, invece, ha iniziato a brillare. Il tempo laverà via anche le nuvole. E tutti capiranno, anche gli avventori dell'Arthur Ashe.
US OPEN DONNE – Finale
Naomi Osaka (GIA) b. Serena Williams (USA) 6-2 6-4