Una condotta di vita poco professionale ha impedito a Serena Williams di vincere quanto avrebbe potuto. Ma forse le ha allungato la carriera. In una prospettiva storica, come sarà ricordata?
La carriera di Serena Williams è piena di “se”
Di Riccardo Bisti – 21 febbraio 2013
Nell’estate 2009, Serena Williams era impegnata al ricco torneo di Cincinnati. Giocava contro la Mammina Volante del tennis, l’austriaca Sybille Bammer. Fu una partita disastrosa: due errori non forzati a game regalarono alla Bammer il più importante successo in carriera. Non era una cattiva giornata: semplicemente, Serena non aveva voglia di giocare. Fisicamente era sul campo, ma la testa volava chissà dove. Ha “sciolto”, come si dice in gergo. Pubblico e organizzatori erano furiosi. Serena non vinceva tornei (Slam a parte) da 17 mesi. Per la disperazione di Stacey Allaster, il circuito WTA non le interessava. Spesso perdeva ai primi turni, oppure diceva di essere infortunata e non si presentava neanche. Se voleva evitare di prendere multe (nel circuito WTA ci sono i famosi tornei “Mandatory”), giocava e le buscava. Da allora sono passati tre anni e mezzo: Serena ha scavallato i 30 anni ed è tornata al numero 1 WTA. E’ la più anziana di sempre a riuscirci. E’ un risultato eccezionale: lei ci scherza su, ha minimizzato, ma è un primato che significa molto per lei. La scorsa settimana è quasi scoppiata in lacrime. “Sono diventata così sensibile, ormai piango sempre – ha detto – non avrei mai pensato di tornare di nuovo qui. Ne ho passate tante”. Serena è cambiata. E’ probabile che i rischi corsi tra il 2010 e il 2011 (l’infortunio al piede, l’embolia polmonare) le abbiano fatto apprezzare la vita. Ha iniziato a rispettare tornei e avversarie. A suo tempo, Chris Evert le scrisse una lettera dicendole di concentrarsi di più: se lo avesse fatto, avrebbe raggiunto cime impensabili. Chissà se oggi si è pentita, visto che Serena le ha scippato lo status di numero 1 più anziana.
Prima dell’infortunio, Serena dedicava un mucchio di tempo ad attività extra-tennistiche. Si concentrava soltanto sugli Slam, e diceva che non riusciva a focalizzarsi al 100% sul suo sport. Non voleva bruciarsi. Il tempo, e i fatti, le hanno dato ragione. Le sue rivali si sono sgretolate con il tempo, tra ritiri prematuri, ritorni e abbandoni definitivi. Fateci caso: Justine Henin ha mollato, è tornata e ha mollato di nuovo. Kim Clijsters ha fatto altrettanto, con un percorso molto simile. Martina Hingis è sparita, così come Dinara Safina. Le serbe hanno comandato per un po’, poi sono tornate nei ranghi. Caroline Wozniacki è stato numero 1 solo nel periodo in cui Serena era fuori per infortunio. Tra gli uomini, c’è un 26enne Nadal che prega ogni mattina che il ginocchio non gli faccia troppo male. E difficilmente arriverà ultra-competitivo a 31 anni. A differenza degli altri, Serena è in grado di gestire le sfaccettature della vita. Lo fa a modo suo, in modo più disordinato rispetto a Roger Federer, ma non così diverso. Tuttavia, essere numero 1 a 31 anni farebbe pensare a un interesse maniacale per la forma fisica. Per la verità, Serena non sarebbe la testimonial ideale per un prodotto dimagrante. Lei stessa, nella sua autobiografia, ha ammesso di essere finita fuori forma a causa dell’eccessivo amore per un negozio di ciambelle. Spesso è stata in forma, spesso è stata in condizioni imbarazzanti.
Ma c’è un aspetto su cui è cresciuta moltissimo: la testa. Ha avuto la grande capacità di tirarsi su nei momenti difficili. Senza scomodare casi-limite come quello di Rebecca Marino, non è una dote così comune tra le donne. Jo Wilfried Tsonga e la sua teoria sugli ormoni sarebbero d’accordo. Ovviamente non ha vinto quanto avrebbe potuto. Vabbè, pazienza. Ma se andate a vedere le classifiche End-Year, scoprirete che ha chiuso l'anno al numero 1 soltanto in due occasioni. Tutti dicono che è la più forte, ma come è possibile che le varie belghe, serbe, danesi, russe e bielorusse le siano passate davanti? Molto dipende dai tornei, dalla vita quotidiana, dal day-by-day che Serena non ha mai sopportato. Fosse per lei, giocherebbe 7-8 tornei l’anno (anche se Patrick Mouratoglu è stato fondamentale nel farle cambiare mentalità). In fondo, la maggioranza degli sportivi sono interessati solo ai grandi tornei. Allo stesso tempo, il circuito ha bisogno dei grandi personaggi per sopravvivere. Accettare che una campionessa giochi solo gli Slam è come pensare che un calciatore giochi solo in Champions League o i big match del campionato. E così Serena deve giocare. Lo ha fatto a Doha, lo farà anche a Miami (a Indian Wells no. Non li perdonerà mai per le accuse a papà Richard di aver deciso a tavolino un derby con la sorella Venus). Oggi Serena apprezza ciò che ha e ha vinto abbastanza per entrare in un dibattito All-Time. Ha vinto 15 Slam, tre in meno rispetto a Evert e Navratilova. Sette in meno di Steffi Graf (che ha chiuso l’anno per otto volte al numero 1). Però ha ancora tempo davanti a sè, e vincerà ancora. Non è escluso che un Rafa Nadal possa ritirarsi prima di lei. Tempo fa, Serena si ritirò durante un torneo, adducendo come motivazione un infortunio a un piede. Poche ore dopo, fu paparazzata mentre se la spassava in un parco divertimenti. In quell’episodio c’è tutta Serena. Da quale punto di vista la vogliamo vedere?
– Sciagurata, chissà quanto avrebbe potuto vincere.
– Episodi come questo hanno allungato la sua carriera.
Bella domanda. Magari ce la faremo di nuovo tra qualche anno.
PS. Quasi a voler smentire le tesi sul suo nuovo atteggiamento, Serena si è ritirata dal torneo WTA di Dubai, lasciando strada a Marion Bartoli.
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