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Forse non è un caso che il risultato storico sia arrivato ora, quando la generazione d’oro al femminile si è fatta da parte e in gara fra le donne c’erano solo Giorgi e Schiavone. Dopo anni a guardare i risultati delle colleghe con la bava alla bocca, finalmente la copertina è per loro, sempre considerati un po’ meno di quanto meritassero. Seppi per primo. “La gente vuole il campione, perciò è abituata a ritenere normale tutto ciò che campione non è, ma anche stare per anni al top è un grande risultato”, ci aveva detto Andreas un paio di mesi fa, rivendicando i meriti di una carriera che l’ha visto mettere per la prima volta i piedi nella top-100 il 16 maggio del 2005. Quasi 13 anni dopo è ancora lì, con sole sei settimane passate fuori dalla porta del tennis che conta. Quanti ci sono riusciti? Pochissimi. E ancora meno hanno toccato quota 51 Slam di fila: giocasse ancora un paio d’anni a questi livelli, l’altoatesino e potrebbe entrare nella top ten dell’Era Open per numero di Major giocati, e non solo di quelli consecutivi. Sì, avete letto bene: nella top ten degli ultimi cinquant’anni. Come ce l’ha fatta? Lavorando e tirando fuori il 110% delle proprie possibilità, con la convinzione che anche se a breve gli anni saranno 34 e il meglio è alle spalle si può comunque provare a migliorare. Max Sartori ha detto di averlo trovato più ordinato, meno pasticcione, ed per quello che anche se Kyle Edmund è un avversario ben più impegnativo di quanto dica la sua classifica ATP, Andreas il suo primo quarto di finale lo vede più possibile che mai. Lo guarda con la serenità di chi sa che ormai la carriera gliela cambierebbe solo un titolo, non di certo un posto fra gli ultimi otto. Sarebbe un premio se arrivasse, ma non un dramma se sfumasse di nuovo, per la sesta volta.
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Indipendentemente da come andranno i prossimi due match, l’Australian Open ha ribadito che a trainare la baracca azzurra, con la complicità di Paolo Lorenzi, ci sono ancora Andreas e Fabio, i migliori due tennisti italiani degli ultimi 35 anni. Non si offenderanno Camporese, Gaudenzi o Furlan: Seppi e Fognini, insieme, hanno portato a casa otto titoli ATP e giocato altre 14 finali, hanno battuto una ventina di top-10 (compresi tutti i più forti giocatori contemporanei) e hanno raggiunto entrambi i primi 20 del ranking ATP. Ma soprattutto sono stabilmente nel circuito maggiore da oltre 10 anni. Durante l’Australian Open, la combinazione delle vittorie Slam di Seppi (53) e Fognini (41) ha superato quella di Panatta (62) e Barazzutti (29). Un dato che ne riassume alla grande la longevità. Giusto per fare un esempio, Barazzutti è stato numero 7 del mondo e nei tornei del Grande Slam ha giocato due semifinali e un quarto, ma in totale al terzo turno ci è arrivato otto volte. Seppi, invece, ce l’ha fatta in quindici occasioni: praticamente il doppio. Nei libri di storia vale di più una semifinale, ma purtroppo la qualità non si compra. Però si può lavorare per costruire la quantità, una delle costanti della carriera di Andreas, e il motivo principale per cui meriterebbe una soddisfazione così. Nel Last Eight Club di Melbourne ci sono entrati solo tre italiani: Giorgio De Stefani nel 1935, Nicola Pietrangeli nel 1957 e Cristiano Caratti nel 1991. Restare a tre andrebbe bene comunque, salire a quattro sarebbe tantissimo, salire a cinque… va beh, lasciamo stare. Meglio volare basso. Non sempre Seppi e Fognini hanno emozionato, a volte si sono beccati qualche critica e hanno regalato tante gioie quanti rimpianti. Ma pur con i rispettivi limiti, tecnici di qua e caratteriali di là, ci sono sempre stati, ci sono ancora e conviene augurarsi che ci siano ancora per un po’. Un pezzettino alla volta hanno costruito due carriere da ammirare, e che finiremo per rimpiangere.
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