Quella frase lì, buttata al termine di una risposta più generale, ha generato mille illazioni su eventuali cattivi pensieri di Roger Federer. “A un certo punto, sono stato contento che il match fosse finito” ha detto dopo aver lasciato strada a John Millman allo Us Open. In effetti ha giocato maluccio e, ancora una volta, ha sciupato tante occasioni. Tuttavia, l'onda emotiva di una sconfitta così rumorosa non deve alimentare chissà quali congetture. A 37 anni è normale sbagliare una partita, specie se le condizioni sono davvero particolari. E Federer ha dato una spiegazione razionale a quanto accaduto nel catino dell'Arthur Ashe: oltre alla grande umidità, una circolazione dell'aria insufficiente ha messo a dura prova il suo fisico. “Da quando c'è il tetto, su questo campo non circola molta aria – ha detto – si è creato uno Us Open molto diverso, le condizioni diventano lente. Si bagna tutto, anche le palline diventano lente e pesanti. Nonostante tutto, continui a provare a tirare colpi vincenti. Poi era un match duro, ma sarebbe stato diverso se fossi andato due set a zero. Probabilmente avrei trovato un modo per vincere, anche perché ho avuto le mie chance fino alla fine”. Non sono le parole di una persona depressa, e nemmeno di chi è particolarmente preoccupato. Come ha ammesso John Millman, doveva esserci una combinazione tra una cattiva giornata di Federer e una sua ottima prestazione. È andata proprio così. “A Cincinnati avevo giocato bene, poi ero stato un po' deludente in finale – ha proseguito Federer, parlando del suo momento nel complesso – oggi faceva semplicemente caldo. A volte succede. Adesso vado avanti, mi riposo, mi rivedrete alla Laver Cup e poi spero di chiudere bene l'anno”.
"MILLMAN MI HA RICORDATO FERRER"
Difficilmente troverà condizioni così estreme da qui a fine anno, dunque è ancora presto per creare allarme sul suo futuro immediato. Semmai, è curioso che abbia perso contro un giocatore che stima, addirittura ospitato tre mesi fa in Svizzera. “Lo abbiamo contattato perché aveva perso subito al Roland Garros. Cercavamo un bravo ragazzo, qualcuno che lavorasse duro. Tra l'altro non sapevo che avesse la fidanzata a Stoccarda. È stato contattato da Severin Luthi e ha subito dato disponibilità, abbiamo trascorso un buon periodo insieme e poi ci siamo rivisti a Stoccarda. Peraltro, siamo stati vicini ad affrontarci anche lì – ha proseguito Federer – lo ammiro, mi piace il suo modo di allenarsi, l'intensità, la passione che ci mette. Sotto certi aspetti mi ha ricordato David Ferrer. Inoltre ha un ottimo rovescio: se non lo attacchi alla perfezione, ti punisce”. E allora, la notte del 3 settembre 2018 sarà ricordata come quella di John Millman, il ragazzo dal passato difficile che però non ha mai perso il sorriso. Ceduto il primo set perché un po' intimidito da un ambiente tutto nuovo, ha espresso il suo miglior tennis. “Sinceramente non ho avuto grossi problemi di respirazione – ha detto – il grosso problema era il sudore. Ho sudato moltissimo e non era facile, ma più la partita si allungava e più stavo meglio. Alla fine, ho usato tutto questo a mio vantaggio. Mi sento un po' colpevole per aver battuto Federer, però questo risultato conferma che nel tennis le sorprese sono sempre dietro l'angolo”. E allora, anziché la sfida stellare tra Djokovic e Federer, attesissima sin dal sorteggio, sarà il ragazzo di Brisbane a sfidare Nole nei quarti di finale. “Ricorderò molto a lungo questo momento, però spero di costruirmi altri bei ricordi. A partire da Djokovic? Perché no. Di certo dovrò migliorare rispetto all'ultima volta che l'ho affrontato. È un giocatore incredibile, ma se non credessi di poter vincere non avrei rispetto per me stesso e il mio lavoro”. Perché, questi giorni, John Millman ci ha dato una bella lezione: non bisogna mai giocare contro la reputazione del tuo avversario. Un ostacolo immaginario, di cui si può fare tranquillamente a meno.