“Finalmente splende il sole. Splende nel momento giusto. Vorrei dire grazie a Dio: anche se ogni tanto provo a fuggire, mi ritrova sempre. E venerdì sera ha ritrovato una bella anima”.
Con queste parole, Adelchi Virgili ha accolto il successo al torneo future di Bergamo, giocato al Tennis Club Città dei Mille. L’allusione era a nonno Giuseppe, l’ex calciatore soprannominato “Pecos Bill”, morto qualche ora prima. A 26 anni compiuti, Adelchi non molla e ha finalmente vinto il suo primo titolo. Un titolo che rilancia la sua personalità così particolare, complessa, di sicuro affascinante. Due anni fa, provò a raccontarci qualcosa di lui. Una chiacchierata a suo modo indimenticabile. Per questo, ve la riproponiamo.
Anni fa, durante una conferenza stampa di Francesca Schiavone, lo scriba Gianni Clerici disse: “Io non sono un giornalista. Io faccio il giornalista”. In tutta risposta, Francesca aggiunse: “Io non sono una tennista. Faccio la tennista”. La frase si addice anche ad Adelchi Virgili. Il fiorentino, numero 801 ATP, è un giocatore di tennis, certo. Ma è anche molto di più. Perchè possiede brillantezza, ironia, carisma, intelligenza. Una decina d’anni fa era un baby super-promettente, antesignano di Gianluigi Quinzi. Una terrificante serie di infortuni lo ha relegato ai margini, ma non c’è stato un solo momento in cui ha pensato di mollare. Quest’anno ha iniziato a giocare con continuità solo in estate, mostrando sprazzi di grande (grandissimo) tennis. A modo suo, è un’artista. I suoi match emanano un fascino, un magnetismo particolare. E un’intervista con lui, più che una semplice chiacchierata, è un viaggio nell’affascinante mondo di Adelchi. Ti accoglie con un sorriso, ti fa entrare nel campo dove si è appena allenato e dopo un minuto capisci che appunti e domande sono da buttare. Meglio andare a braccio. Peccato che un personaggio del genere sia ancora costretto alle qualificazioni dei challenger. Ma la strada è ancora lunga. O meglio, è appena all’inizio.
Hai già raccontato più volte la tua storia, quindi non te la facciamo ripetere…
Anche perché è in continua evoluzione. Non ho mica 90 anni e devo ripetere sempre le stesse cose. Ogni giorno succede qualcosa di nuovo, quindi…
Però nelle interviste ti chiedono sempre di riassumerla…
Sarò sincero: non sono un grande amante delle interviste. Però se c’è da fare una chiacchierata, o mi chiedono qualcosa…ben volentieri.
Se ti chiedessi chi è Adelchi Virgili, cosa risponderesti?
Professionalmente o umanamente?
Entrambe, se possibile.
Non so. Ogni giorno la vita ti mette di fronte nuove esperienze e difficoltà da superare. Cose positive, cose negative…chi è Adelchi Virgili? Chi lo sa. Non ho la presunzione di dirlo. E’ come quando ti chiedono chi è Dio. Solo chi ha la presunzione, e forse non lo conosce davvero, te lo descrive. Invece chi lo conosce per davvero…non ne parla.
Tu sei credente?
Si.
Se non avessi avuto questa marea di problemi fisici, pensi che oggi saresti un professionista importante?
Un professionista importante lo sono ogni giorno. Cerco di fare le cose al massimo, pur facendo i miei errori, come tutti. Quindi…chi lo sa. Forse me ne renderò conto quando avrò raggiunto o intravisto i miei limiti. A quel punto capirò se avrei potuto ottenere di più. O magari di meno, chi lo sa.
Quindi sei convinto che i tuoi limiti siano ancora lontani?
Assolutamente. Finchè avrò voglia di lavorare, con le enormi motivazioni che mi accompagnano oggi, non avrò visto i miei limiti. Non c’è dubbio.
Su internet la gente scrive molto di te. Pagine dedicate, topic, forum…li leggi?
Forum? Veramente io leggevo quelli dei videogiochi, quando ero più piccolo. Altre cose…no.
Ma sei molto amato, a dispetto della classifica.
Essere amato…questo è un bell’argomento. Cos’è l’amore? E’ talmente grande è variegato…è bello. Se dici che sono amato è bello, e io amo tutti quelli che mi amano. Se esprimo qualcosa nella mia professione, vuol dire che ho fatto qualcosa di buono. La mia professione è diversa rispetto a chi sta chiuso in ufficio. Chissà, magari sarebbe piaciuto anche a me, avrei voluto fare Giurisprudenza e diventare avvocato. Ma in questo sport c’è una libertà “artistica” che viene apprezzata dalle persone che lo capiscono. Questa è la cosa più bella. Se riesco a trasmetterla, e la gente mi ama per questo…ben venga.
Quindi ti piace trasmettere qualcosa alla gente? Non vedi tutto questo come una professione?
Beh, il campo da tennis è un palcoscenico. Poi, per carità, quando gioco non è che penso a far divertire la gente. Non è che dico: “Adesso tiro questo colpo”. Se gioco un colpo particolare o strano, lo faccio perchè mi è stato insegnato e in quel momento mi è utile, ma non lo vedo come uno strumento per far gioire le persone. Lo faccio perchè in quel momento mi sento di fare una certa cosa, anche se magari ci sarebbero modi più semplici per ottenere il punto. Se tutto questo viene apprezzato…bene. Ma di queste cose me ne accorgo dopo la partita, non durante.
Ti è mai capitato, sul 5-5 30-30, di perdere un punto decisivo che magari con una giocata più semplice sarebbe stato vinto?
Questo non lo so. E’ tutto soggettivo. Anche il concetto del giocatore più “focus”…ognuno ha la sua mentalità, non siamo dei robot. A mio modo, come mio padre ha insegnato a me e mia sorella, sono sempre focalizzato su quello che devo fare. A causa delle mie vicissitudini fisiche, mi è successo di entrare in campo con una mentalità un po’ meno forte. Quindi si, magari è capitato di cercare un colpo a effetto quasi per trovare uno stimolo, una libertà mentale che mi allontanasse dalla sofferenza fisica. A volte tutto questo mi ha punito, ma adesso cerco sempre di fare la cosa più giusta. Devo certamente abituarmi a fare la cosa più semplice, ed è uno sforzo mentale non indifferente.
Ci racconti il periodo in cui non hai giocato a tennis? Che ti passava per la testa? Hai pensato di mollare?
Mai. Io e il tennis siamo nati insieme. E’ una cosa mia, quasi carnale. Anche nei momenti più bui, di totale oscurità e adolescenza, quando non hai la forza mentale per capire cosa vuoi nella vita, non ho mai mollato. Ho cercato di trovare ogni strada possibile per riconquistare un certo livello.
Doping. Ti è mai capitato di vedere un giocatore e pensare: “Oddio, questo qui…”? Più in generale, pensi che sia diffuso nel tennis?
Di solito io sono uno che giudica nel bene. Altrimenti, taccio. In questo caso dovrei tacere. Se però mi viene fatta un domanda così limpida e sincera, rispondo in modo limpido e sincero. E’ palese. Nel mondo si ruba?
E’ la normalità.
Quindi ho risposto alla domanda. Lo so perchè l’ho toccato con mano. Non io personalmente, ma vicino a me. Sarebbe da ciechi non ammetterlo. Più sei al top, e più ce n’è. E l’hanno fatto tutti, chi più chi meno.
Scommesse. Si sentono sempre più storie di giocatori avvicinati da strani personaggi che offrono soldi in cambio di partite combinate. E’ tutto vero? Tra voi giocatori se ne parla?
Sarò molto sincero anche in questo. Io preferisco stare per i fatti miei, però capita anche di interagire e stare in gruppo con gli altri giocatori. Capita di sentire queste cose, il problema c’è. Io non sono un amante delle scommesse: non ci capisco niente, non mi diverte, non mi interessa. Non trovo il divertimento, anche perchè vai quasi sempre in perdita. Io non faccio questa professione perchè voglio scommettere su di me o contro di me: gioco a tennis solo perchè voglio arrivare al massimo del mio potenziale. L’aspetto economico è importante, ma arriva attraverso i sacrifici.
Qualcuno ti ha mai chiesto di perdere una partita?
A me no, mai. Giuro. Anche perchè ne ho giocate talmente poche…A volte, le mie partite hanno andamenti così imprevedibili perchè devo combattere con i miei demoni, non certo per le scommesse!
Adelchi Virgili gioca a tennis per soldi o per passione?
Per grande passione. E’ difficile spiegare a parole il senso di rivincita e rivalsa che mi porto dentro…sono tante cose. Poi, per carità, se arriverò in alto arriveranno anche i soldi. Sarebbe un bel modo per ripagare i grandi sacrifici dei miei genitori. Soprattutto per loro. La mia grande rivalsa sarà esprimermi al meglio e trovare il massimo del mio potenziale.
Sei amico di Quinzi: vi allenate insieme, ogni tanto giocate il doppio insieme…avete mai parlato della grande pressione che lui è costretto a sopportare? Magari gli hai dato qualche consiglio…
Voglio molto bene a Gianluigi, è uno de pochi con cui sento una grande affinità. Non abbiamo mai parlato direttamente di questo argomento, ma la pressione mediatica e psicologica si sente. A volte lo può disturbare o fargli perdere equilibrio. Si nota. Penso che sia bravissimo a gestirla, anche perchè è molto giovane. Spero riesca ad esprimere il massimo del suo enorme potenziale. So che adesso non sta troppo bene: nel tennis può succedere, ma credo che certi problemi possano aiutarlo a crescere ancora di più.
Vi sentite spesso al di là del tennis?
Abbastanza. Non ogni giorno, ma capita. Ci siamo sentiti la settimana scorsa, mi ha detto che non stava troppo bene e il problema al polso era più importante di quello che sembrava. Lo aveva già questo inverno, quando ci allenavamo insieme a Tirrenia. Poi è arrivata la voce che forse si deve operare. Sicuramente ci sentiremo.
Cosa dovresti raggiungere nel tennis per sentirti realizzato?
Io vivo di forti emozioni. Ogni giorno ci sono emozioni, sia negative che positive. Cos’è la felicità? L’euforia è un momento di pochi minuti, di poche ore, quasi fittizio. La felicità è una sensazione costante che raggiungi solo dopo un lungo lavoro su te stesso e sulle persone a cui vuoi bene, magari creando un gruppo importante come può essere una famiglia.
Tu sei felice?
Si. Mi reputo felice, nonostante abbia ancora tanto da lavorare.
Parliamo di coach. Sei allenato da tuo padre?
Si. Non mi ha mai messo pressione, e come lui tutta la mia famiglia. Io mi sono fatto male quando dovevo ancora esprimermi, quindi non ho nemmeno avuto il tempo di avere un certo tipo di pressione, ma mio padre è sempre stato molto tranquillo e sereno.
Ti ha sempre seguito lui?
Sempre, a parte una parentesi lo scorso anno in cui ho collaborato un paio di mesi con Fabrizio Fanucci. Papà non stava bene perchè ha una fastidiosa epatite autoimmune al fegato da 12 anni. Non ha cura, ma lui ha una grande forza d’animo e ha trovato strade alternative: ci convive. Gli ha tolto tanto, ma gli ha anche dato.
Un buon coach, in percentuale, quanto può dare in più a un giocatore?
Io penso che un coach, oltre ad essere bravo e preparato, debba avere importanti doti umane. Mi è capitato di incontare coach famosi e blasonati: ma nei momenti di debolezza, in cui non stavo troppo bene, non ci sono stati, pur avendomi dato molto sotto altri aspetti. Mio padre mi conosce meglio di tutti sul piano tecnico e umano. La sua malattia non gli consente di seguirmi al 100%, per questo apprezzo ancora di più il fatto che sia sempre con me. Ho anche un preparatore atletico, Riccardo Calcini, che è riuscito a interagire molto bene con me.
A fine carriera quale sarà stato il tuo best ranking?
Un pò di tempo fa ho detto che voglio esprimere il massimo del mio potenziale, non importa se sia 500, 100 o 20. Adesso ho un solo obiettivo: andare più avanti che posso.
Facciamo che me lo dirai a fine carriera?
Bravissimo…tra vent’anni!