Per fortuna non ci sono stati problemi reali, ma a qualcuno non è sfuggita la presenza di Dudi Sela al torneo ATP di Doha. Certe problematiche sono note da tempo, da quando Shahar Peer (giocatrice israeliana, proprio come Sela) non poté giocare il torneo di Dubai in virtù della sua nazionalità (le negarono il visto d'ingresso). L'anno dopo, su forti pressioni della WTA, fu ammessa a giocare e partì un caso internazionale, tra spogliatoio dedicato, guardie del corpo e match spostati sui campi secondari (compresa la semifinale contro Venus Williams). Le ragioni di queste difficoltà sono semplici: Israele non ha rapporti diplomatici con i paesi islamici, e in certe situazioni il confine tra sport e politica può essere molto labile. In questo periodo, le tensioni sono molto accese a causa dello status di Gerusalemme e le recenti dichiarazioni di Donald Trump: il presidente americano ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, sconvolgendo gli alleati occidentali e facendo infuriare il mondo arabo. Sicuramente è stato un duro colpo per gli sforzi di pace israelo-palestinese, e ha acceso i rischi di violenza nella regione. Per questo, alcuni residenti di Doha hanno espresso il loro nervosismo per la partecipazione di Sela al torneo qatariota, anche se la sua permanenza non è durata granché: ha perso al primo turno del singolare da Fernando Verdasco (4-6 6-4 6-0 lo score) e non ha partecipato al doppio. “La posizione del Qatar e del nostro popolo sulla questione palestinese è chiara: per questo chiediamo le scuse ufficiali dell'ATP” ha cinguettato su Twitter un cittadino di nome Rashid Al Kuwari. Stessa opinione di Maryam Al Thani: “Ospitare i sionisti negli eventi sportivi è ormai prassi, ma è inaccettabile perché contraddice i nostri principi! Dovremmo essere in grado di separare sport e politica, ma trattandosi di Israele respingiamo questa decisione”. Tali prese di posizioni sono state condivise addirittura da un docente universitario: Majed Al Ansari si occupa di sociologia politica alla Qatar University e ha detto: “Non possono esistere relazioni sportive, culturali o commerciali che permettano la partecipazione di atleti sionisti. Tutto questo deve terminare immediatamente".
UNA LUNGA STORIA DI TENSIONI
Il parere più autorevole, tuttavia, va in direzione opposta. Yonatan Gonen è il capo del dipartimento di diplomazia araba presso il Ministero degli Esteri e ha applaudito la partecipazione di Sela al torneo, e più in generale. “Sono felice di vedere la la partecipazione di atleti israeliani in vari eventi mediorientali”. Le tensioni politiche tra Israele e Palestina sono antiche e spesso sono sfociate nello sport, a partire dai famosi – e tragici – fatti delle Olimpiadi di Monaco di Baviera 1972. Si pensava che certe tensioni fossero superate, anche grazie al tennis e al coraggio di Shahar Peer: fece scalpore la sua presenza a Dubai, ma anche la sua presenza a Doha nel 2008 non passò inosservata. Fu la prima tennista israeliana a mettere piede nel Paese. Adesso la tensione è nuovamente alta, tanto che lo scorso 26 dicembre l'Arabia Saudita non ha concesso il visto agli israeliani che avrebbero dovuto partecipare ai mondiali di scacchi. In polemica, ovviamente, con la decisione americana di considerare Gerusalemme la capitale di Israele. Per fortuna le polemiche legate a Sela sono arrivate a torneo terminato, ma non è la prima volta che il giocatore si trova immischiato in questioni del genere. Qualche anno fa, il tunisino Malek Jaziri non scese in campo contro l'israeliano Amir Weintraub al Challenger di Tashkent. Lo fece su ordine della sua federazione, secondo cui un islamico non doveva condividere il campo con un israeliano. Stessa storia un anno e mezzo dopo, quando vinse il primo set contro Istomin al torneo ATP di Montpellier, salvo poi ritirarsi per un presunto infortunio a un piede. Guarda caso, al secondo turno avrebbe dovuto affrontare proprio Sela. Purtroppo, i pericolosi incroci tra sport e politica ci saranno sempre. La speranza è che certe tensioni rimangano incruente, almeno nello sport. E che, magari, sia proprio il nostro mondo ad aprire la via del dialogo.