Ogni mattina la linea 10 della metropolitana di Parigi si popola di appassionati di tennis di varie nazionalità, più o meno giovani, più o meno esperti. Tutti uniti dalla stessa meta: Porte d'Auteuil, a pochi passi dai campi del Roland Garros. Dove secondo uno spigliato signore olandese non ci sono dubbi: vincerà Kiki Bertens.Quest’anno vince Kiki Bertens”. Un signore sulla cinquantina lo ripete tre volte nel giro di pochi minuti, chiacchierando con un – si scoprirà poi – australiano dagli occhi a mandorla, con moglie e figlioletti ai seguito. “Ne sono sicuro, non sono uno scommettitore se no qualche soldo ce lo metterei. Lo scorso anno è arrivata in semifinale, e stavolta sta giocando ancora meglio. Appena sono arrivati i tornei sulla terra è tornata la vera Bertens”. Ha ragione: la sua connazionale ha fatto quarti a Madrid, semifinale a Roma e vittoria a Norimberga, presentandosi a Parigi col nuovo best ranking al numero 18. Ma da lì a vincere uno Slam ce ne passa, o no? “In Germania ha dominato il torneo, e appena arrivata qui ha detto alla tv olandese che non si è mai sentita così bene. E poi Serena non c’è, la Sharapova neanche. Vedrete, vincerà”. Mister ottimismo si chiama Sander, ha 47 anni e si è preso quattro giorni liberi dall’ufficio per volare a Parigi, vizio che aveva perso in gioventù ma ha recuperato proprio quest’anno, per seguire da vicino la sua Bertens. “Sono arrivato ieri sera: per fortuna che ieri Kiki ha vinto, altrimenti sarei venuto a vuoto”. Viene da Amersfoort, nel cuore dei Paesi Bassi, là dove dal 2002 al 2008 si è giocato un torneo ATP, il primo vinto in carriera da Novak Djokovic. “C’ero, era il 2005 (in realtà 2006, ndr). Mi ricordo la finale, vinse contro quel sudamericano che aveva vinto le Olimpiadi di Atene… ehm… aspetta… sì, ecco, Nicolas Massu”. Il suo è uno dei volti che si incontrano sulla linea 10 della metropolitana di Parigi, un incrocio di nazionalità, età e culture unite in amicizia istantanea dalla stessa passione e da una sola meta: i campi del Roland Garros. Col passare delle fermate le espressioni di chi sale diventano sempre più rilassate, calano le camicie e aumentano le t-shirt, perché al lavoro non ci va (quasi) nessuno.
I bambini del signore australiano scalpitano: è la loro prima volta a un grande torneo, e non vedono l’ora di sedersi sul Campo 1 per Nick Kyrgios. A Charles Michel, una manciata di fermate prima di Port d’Auteuil, sale una bella ragazza dai capelli neri, ricci, con gli occhiali scuri a coprire parte del viso. Assomiglia chiaramente a Xisca, la storica fidanzata di Rafael Nadal. La nota anche Sander, ma soprattutto la notano due teenager con la bandiera spagnola, che sembrano credere sia veramente lei. Uno sembra più motivato dell’altro a farsi avanti, ma alla fine vince il secondo e ha ragione lui, perché la ragazza ha visibilmente qualche anno in più, come confermerà poco dopo togliendosi gli occhiali. Un’altra fermata e salire sono due – si intuisce – brasiliani, con un cartello bianco con un cuore al centro che racchiude il volto di Gustavo Kuerten, e sotto la scritta “Guga 20 ANOS”, per celebrare il ventennale del primo successo parigino del sudamericano, datato 1997. I figli del signore australiano lo indicano parlando con papà, chiedendogli chi fosse, e la risposta assomiglia tanto a un “non lo so”. Interviene in tackle un vicino, con un inglese un po’ stentato: “è Gustavo Kuerten, ha vinto il Roland Garros tre volte. Ma voi siete giovani”, e sorride. Papà invece giovane non lo è più, ma evidentemente il tennis lo segue un po’ sì e un po’ no. È il bello dei grandi tornei, affollati non solo dagli appassionati che conoscono vita, morte e miracoli di tutti i big (e non solo), ma anche da chi semplicemente non vuole rinunciare a una bella giornata di svago, col tennis a far da sfondo a tutto il resto. O se possibile anche a un paio, come quei due dall’accento completamente diverso da tutti gli altri. Parlano inglese, e si divorano due parole su tre. “Americani?”. “Americani”. Sono partiti da Seattle un paio di settimane fa, per un Tour europeo ormai agli sgoccioli fra Lituania (vabbè), Roma, Venezia, Firenze e Parigi. Che non siano troppo avvezzi a racchette e palline lo si capisce subito, quando prima raccontano di essersi presentati al Roland Garros già lo scorso giovedì, trovandoci le qualificazioni, e poi elencano i match seguiti il giorno prima sul Philippe Chatrier, estasiati per l’energia di Francesca Schiavone. “Quando ho scoperto che ha 37 anni mi stava venendo un colpo, però la sua avversaria tirava troppo forte”. “Eh, sarebbe la campionessa in carica”. “Veramente?”. “Sì, e anche la Schiavone ha vinto qui, nel 2010. Basta un secondo per tornare indietro fino ai tempi di Borg, per loro semplicemente"Bjorn", e pure di Paneeda, che sarebbe Panatta. “Me lo ricordo bene, anche lui vinse qui. Very good looking”.
Se lo ricorda sicuramente anche Franco, milanese, cappellino dell’Inter e zainetto in spalla. A occhio e croce va per i 60 anni. Al telefono parla di esami (medici) e ospedale: facile intuire che la madre non stia tanto bene, ma lui un paio di giornate del suo dodicesimo Roland Garros non se le perderebbe per nulla al mondo. “E ho cercato anche un biglietto per rimanere un giorno in più – racconta – ma ho trovato solo un pacchetto per il Lenglen a 700 euro. Meglio il divano”. Già, ma ancora per poco, visto che quest’anno farà il suo esordio a Wimbledon. “Ho vinto il Ballot per i biglietti, anche se per il Campo 1. Ci provavo da anni. Se l’avessi saputo non sarei venuto qui, ma ormai era tutto prenotato. Vorrà dire che le vacanze le farò sull’erba inglese”. Inizia a parlare e non smette più, tanto che rischia di mancare la fermata di Porte d’Auteuil, dove i seggiolini si trasformano in palle da tennis, le pubblicità più svariate lasciano spazio agli annunci del torneo, e corridoi e scale sono tappezzati di scritte Roland Garros. Il torneo di chi arriva con la metro inizia lì, con una Garbine Muguruza che sembra danzare, un Rafael Nadal di spalle e la voglia di tennis che cresce passo dopo passo. Per arrivare dritti dritti fino ai cancelli basterebbe seguire l’onda di gente, ma ci sono degli addetti che danno informazioni ancora prima di uscire dal tunnel. Appena fuori, invece, all’urlo di “tickèt” spuntano addirittura un paio di bagarini. Verrebbe spontaneo chiedere la provenienza anche a loro, ma proprio in quel momento ricompare Sander. “Kiki Bertens, ricordatelo. E poi non dite che non ve l’avevo detto.