L’ex numero 42 del mondo è al secondo torneo come coach della kazaka dopo la chiusura con Stefan Vukov e poi con Goran Ivanisevic
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DOHA – «Far sorridere Rybakina? Giuro, ci sto provando. Ma bisogna avere pazienza. Un certo atteggiamento rispecchia il carattere delle sue zone (ha passaporto kazako ma è nata a Mosca, nda), magari però il mio carattere latino potrà aiutare…». Davide Sanguinetti, 52 anni, migliore italiano per 92 settimane con un best ranking di 42 (altri tempi…) è al secondo torneo come coach di Elena Rybakina. La fin troppo seriosa campionessa di Wimbledon 2022 (e di Roma un anno dopo) è attualmente numero 7 del mondo. Reduce da una deludente seconda parte di 2024, è soprattutto ancora invischiata nella bufera del caso Vukov, il suo storico coach da cui si era separata prima degli ultimi Us Open e che è stato sospeso a tempo indeterminato dalla WTA per “comportamento inappropriato”. Intanto Elena, che ha difeso pubblicamente Vukov, si è affidata all’inizio dell’anno a Ivanisevic per poi richiamare l’allenatore croato. Dopo il passo indietro di Goran, ecco la telefonata al coach viareggino. «Ero libero, avevo appena chiuso con Nakashima (statunitense classe 2001, portato fino al 35º posto del ranking, nda), mi è sembrata subito una bella occasione da sfruttare», ha detto. «Cosa penso di Vukov? Lo conosco, secondo me le voci che circolano non sono vere. Bisognerebbe anche dare credito alle parole di Elena, che ha sempre preso le sue difese».
Provare a far crescere un giovane è un conto, impegnarsi nel migliorare una tennista che ha vinto a Wimbledon è molto diverso… «Lo so, intervengo su un livello più alto, è una grande responsabilità e una bella sfida. Finora abbiamo avuto poco tempo per lavorare insieme, la prossima settimana c’è Dubai poi dieci giorni di tempo prima dei grandi tornei in America. Cercheremo di sfruttarli al meglio, possono essere molto importanti». Qui a Doha Rybakina ha definito Davide una «bella persona. Mi piace come lavora, i consigli che prova a darmi». «Elena è una bravissima ragazza, soprattutto è una vera spugna – risponde Sanguinetti – quello che dici, lei lo fa al meglio, mi ascolta e questo è molto importante. Certo, dobbiamo ancora entrare meglio in confidenza, devo ancora conquistare la sua piena fiducia. Finora è andata abbastanza bene (semifinali ad Abu Dhabi una settimana fa, i quarti per ora a Doha, dove sfiderà domani Swiatek, nda), vincere aiuta sempre. Spero solo di avere il tempo per lavorare al meglio con lei».
Sanguinetti era un tennista leggero e talentuoso, forse una iniezione di imprevedibilità nel gioco un po’ meccanico di Rybakina può essere un regalo ideale. «Io ero un giocatore istintivo, come istintiva è anche Elena, anche se naturalmente ha vinto molto più di me…. Ecco, da questo punto di vista penso di poter essere utile nell’utilizzare al meglio certe sue caratteristiche. E poi vorrei aiutarla ad evitare quei cali di cui ancora soffre. Può sembrare strano, ma a volte è come se si… annoiasse e per qualche minuto si spegnesse. Ha tanto di quel talento che forse pensa di poter chiudere una partita quando e come vuole, e allora comincia a distrarsi, a far volare i pensieri».
Tra il 2011 e il 2012 Davide ha allenato Dinara Safina, ex numero 1 del mondo. «Non avesse avuto quei problemi fisici che l’hanno costretta al ritiro, l’avrei riportata tra le prime dieci – ruggisce Davide – rispetto a Elena aveva una mobilità superiore, ma Rybakina serve meglio ed ha una palla più pesante. Parliamo comunque di due campionesse…». Una bella carriera, quella di Sanguinetti: tra i due tornei ATP vinti (a Milano battendo un certo Federer in finale e a Delray Beach su Roddick) e i quarti raggiunti a Wimbledon, a quale impresa è maggiormente legato? «La vittoria di un torneo in Italia, e su Federer, rappresenta sicuramente il punto più alto, personalmente però il ricordo più bello risale alla semifinale di Coppa Davis del 1998, quando a Milwaukee battemmo da sfavoriti gli Stati Uniti. E io nella prima giornata superai per tre set a zero Todd Martin, il numero 3 del mondo. Non male, no?».